domenica 10 maggio 2015

TALKIN' ABOUT SPIRIT - "Trasumanar significar per verba..."

“Io, a parte quelle 3/4 apparizioni a Lourdes, non è che mi sento poi così tanto spirituale” (Sara Bini)

Oltre a quelle relative all’amore e affini, altre parole oggigiorno largamente abusate e fraintese sono ‘spiritualità’, ‘spirito’ e ‘spirituale’. C’è chi le connota immediatamente in senso religioso, chi in senso esoterico, chi in senso alcolico. Ognuno fa le associazioni a cui è stato più abituato o che lo riguardano più direttamente.  Difficile descrivere o raccontare in modo univoco e razionalistico ciò che si può intendere con ‘spirito’: in effetti si tratta principalmente un’esperienza. Tuttavia le esperienze di ‘spiritualità’ o le persone ‘spirituali’ presentano tratti comuni che ci possono dare qualche dritta riguardo tali concetti.

Una delle grosse trappole è forse considerare lo ‘spirituale’ come qualcosa di avulso dalla realtà quotidiana, lontano anni luce dalla cosiddetta ‘materia’ e appannaggio esclusivo di pochi eletti (monaci, eremiti/medium/guru ecc.). D’altra parte, mi risparmierei anche i dibattiti filosofici del tipo ‘Tutto è Spirito,  il dualismo non esiste, tutto è Uno, rosso di sera bel tempo si spera, ecc. ’ che lasciano il tempo che trovano specie se non tradotti in qualche modo nella propria pratica di vita. 
M’interessa di più dare un significato pragmatico a quella che per me è l’esperienza spirituale, per quanto mi è stata possibile fin ora, alla luce di una consapevolezza limitata e pertanto desiderosa di crescere ed espandersi. 'Spirito', per me, ha più a che fare con qualità come il coraggio, il senso di responsabilità e l’impegno quotidiano piuttosto che con la fuga dalla realtà o la clausura in un ashram dell'India. Sia ben chiaro, questi momenti o luoghi sono assolutamente importanti e necessari per raccogliersi, contemplare e rigenerare le nostre forze. Non solo, la preghiera e la meditazione sono un servizio molto più ‘attivo’ di quello che potrebbe apparire poiché vanno a modificare direttamente le frequenze vibratorie in cui siamo immersi. Quello che invece volevo sottolineare è l’intenzione che soggiace a determinate azioni o scelte di vita. 

Sempre secondo me, ‘spirito’ è anche lo sforzo di comprensione e di unione aldilà dei punti di orgoglio e separazione; è la capacità di  sacrificare l’interesse personale a favore dell’interesse collettivo. Lo ‘spirituale’ quindi non pertiene solo agli angeli ma si legge nei giusti rapporti umani - dove l’elemento ‘umano’ appunto, fatto di empatia, rispetto e calore, prevale sul  fattore razziale, sociale o sessuale. 
‘Spirito’ è includere piuttosto che dividere, aprirsi piuttosto che chiudersi, saper bilanciare il distacco con l’amore, la saggia discriminazione con l’aspirazione a una più elevata fusione. Concludo con le parole di Assagioli, a mio avviso sintesi chiara e puntuale delle riflessioni su questo tema : “Così, spirituale è, in qualche misura, tutto ciò che nell'uomo lo induce a superare il suo esclusivismo egoistico, la sua paura, la sua inerzia, il suo edonismo; tutto ciò che lo porta a disciplinare, a dominare e dirigere le forze incomposte istintive ed emotive che si agitano in lui, tutto ciò che lo induce a riconoscere una realtà più ampia e superiore, sociale o ideale, ed a inserirsi in essa, varcando i limiti della propria personalità.”

Ph.Diana Jaramillo/Michele Baragatti
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sabato 18 aprile 2015

TALKIN’ ABOUT LOVE - “Poi s’ascose nel fuoco che gli affina”

“Per un essere umano amare un altro esser umano: questo è forse il compito più difficile che ci è stato affidato, il compito ultimo, il test e l’esame finale, l’opera per cui tutte le altre opere non sono che una preparazione.”(R.M.Rilke)


Per una serie di recenti vicende, mi sono trovata a riflettere molto sulla parola ‘amore’ che tutti sappiamo quanto sia usata e talvolta ab-usata. Se mi guardo intorno, se apro un giornale, mi sembra che gran parte di ciò che noi essere umani abbiamo chiamato con questo nome sia in realtà qualcos’altro, o una sua versione di serie Z. Prendiamo ad esempio l’amore tra genitori e figli: quello che più spesso è stato paragonato all’amore di Dio in virtù della sua potenza, profondità, disinteresse e gratuità. Senza arrivare a purtroppo sempre più diffusi ‘estremi’ , tipo genitori che uccidono o sequestrano i figli e viceversa, saltano comunemente agli occhi le costanti  manipolazioni subite da molti bimbi nel rapporto di potere tra i due genitori. 


Se poi osserviamo il mondo delle coppie, il panorama non è tanto più rinfrancante; lo si potrebbe condensare nelle incisive parole-laser di Byron Katie “Le personalità non amano; vogliono qualcosa”. In questo ‘volere qualcosa’ Katie mette perfino il semplice desiderio di essere contraccambiati, figuriamoci il resto (soldi, prestigio, affetto, riconoscimento, sicurezza, sesso…)! Finché l’umanità agisce soltanto a livello di personalità -ossia di istinti, emozioni e pensieri stereotipati- i rapporti ‘d’amore’ appaiono poco più che ‘contratti’ di scambio merci secondo equilibri più o meno funzionali e precari. 
Tali compromessi o accomodamenti possono tuttavia rappresentare un passaggio necessario e anche evolutivo, specialmente se il rispetto umano e  l’ affetto sincero -che provengono da livelli più profondi della mera emotività- illuminano quella relazione.Tale calore e tale rispetto possono sì essere momentaneamente oscurati da dinamiche di dominio e controllo, ma riemergono vividi e vitali non appena uno dei membri in gioco parla a cuore aperto e l’altro ascolta con altrettanta umiltà e apertura. Questo è già la cellula germinale di un amore degno di essere chiamato tale: si comincia ad andare oltre alle compra-vendite dell’ego, ai pregiudizi su uomini e donne o alle frustrazioni personali. 


Quando invece sono il potere, la paura e il controllo a prevalere sull’affetto e sulla buona volontà, ecco che le situazioni dolorose si incancreniscono negli individui, nelle coppie, nelle famiglie e, di riflesso, nella società. Ognuno si barrica nella sua armatura di paure, ferite, rancori, certezze assolute e pensieri di separazione. Si prova quasi un piacere perverso a enumerare i punti di conflitto piuttosto che a cercare i momenti di unione, bellezza.
Sia chiaro, è un bene che certi rapporti finiscano, specialmente quando sono particolarmente male assortiti, distruttivi o con forti disarmonie nei tempi di crescita degli individui coinvolti. Anche in questo caso, tuttavia, si può chiudere una relazione in due modi: scalciando e aggredendo o con una certa dose di generosità e dignità. In quest’ultimo caso, va da sé che è più facile salvare il salvabile e non buttare via il bimbo insieme all’acqua sporca.
Benché uscire dall’orgoglio, dalla lamentela, e dal vittimismo sembri un’impresa titanica, si tratta di un tipo di lavoro interiore che ripaga molto in serenità e qualità di vita . Se non altro, ci porta a un punto di pace nel rapporto più imprescindibile e importante che abbiamo: quello con noi stessi - misura essenziale e modello finale del rapporto che instauriamo con gli altri.




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lunedì 30 marzo 2015

UN EPOS AL FEMMINILE: ‘I figli di Lilith’ di Isolde Kurz

“Chiedo venia, sei capitato male. Non sono una donna di facili ormoni.” (Sara Bini)

Questo lavoro, che è possibile trovare al link "I figli di Lilith. Un tributo a Isolde Kurz e al Divino in ogni donna", si propone di portare un po’ di luce su Isolde Kurz, autrice tedesca vissuta a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, e sulla sua produzione letteraria. Conosciuta soprattutto per le sue ‘Novelle Fiorentine’, trascorse gran parte della sua vita a Firenze e a Forte dei Marmi, facendo dell’Italia e della Toscana la sua patria ideale. Troppo moderata per la critica femminista, troppo spirituale per una civiltà materialista e troppo ‘classica’ per un secolo di avanguardie, Isolde è stata prematuramente messa nel cassetto dalla critica letteraria tedesca e, di conseguenza, da quella internazionale.
Molte delle sue opere sono dunque rimaste non tradotte e ovviamente non commentate. Io ho deciso di tradurre e analizzare un suo epos del 1908, “I figli di Lilith”. Sono circa una sessantina di pagine, è  scritto in rime baciate e venne pubblicato con caratteri goticheggianti. Nella traduzione ho tentato di mantenere la musicalità dell’originale tramite giochi di allitterazioni e assonanze. 

Qui Isolde opera un’interessante rivisitazione del mito di ‘Lilith’, il lato oscuro del femminile, contenitore di tutti quegli aspetti della donna sommersi e repressi dalla cultura patriarcale. Dalla tradizione recupera il tema di Lilith come prima compagna di Adamo ma, invece che strega ribelle, ne fa una sorta di intermediario tra la Terra e il Cielo, una ‘donna angelo’ che tuttavia mantiene intatta tutta la sensualità e l’eros di una donna umana. Sarà Eva, la donna puramente ‘materia’ che, facendo leva sull’istinto di potere di Adamo, stravolgerà il Piano Divino confinando il compagno alla volgarità e ai bassi istinti. Tuttavia Lilith e Adamo, nel loro breve idillio, hanno concepito un figlio, che tornerà sulla Terra devastata dalla stirpe di Eva in successive incarnazioni: artista, condottiero, filosofo…e in ogni caso guida e luce per l’umanità.



Credo che sia giunto il momento storico adatto per la ricezione di questo poema: passato il femminismo estremo e giunti a un’epoca indefinibile dal punto di vista della sperimentazione letteraria, il messaggio di Isolde sull’armonia tra i sessi e una rinnovata visione della donna risulta quantomai attuale, essenziale e pieno di speranza.


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domenica 22 marzo 2015

NO TIME FOR KARMA - I nuovi Che Guevara

‘No time for karma - Non c’è più tempo per il karma’ (Paxton Robey)


Forse mai come oggi l’umanità è stata sottoposta a una serie così serrata di sconvolgimenti su tutti i fronti: climatici, politici, economici, sociali. Ciò sembra testimoniare l’affacciarsi di un deciso cambiamento di paradigma, una vera e propria rivoluzione percettiva e mentale.
Tale spinta impone all’uomo di rinnovarsi e di prendere velocemente una posizione: o il vecchio o il nuovo, o a favore della ben nota visione materialista/egoistica o a sostegno di valori comunitari come l’innocuità, la fratellanza, il servizio all’umanità. Anche chi non percepisce la portata ‘interiore-energetica’ di questa accelerazione sente comunque un vago senso di pressione che lo spinge a cercare di raggiungere i traguardi biologici/sociali con una certa impellenza. 


Per chi invece è capace di percepire la rivoluzione di coscienza in atto - i nuovi Che Guevara dell’umanità - ‘non c’è tempo da perdere’ significa dirigersi verso l’essenza delle cose e non più verso l’apparenza. Comincia così un naturale processo di ‘scrematura’ rispetto a ciò che è divenuto futile, vecchio e ‘superato’ nelle nostre vite: relazioni sentimentali stagnanti o disfunzionali, lavori mortiferi, amicizie di comodo. Un nuovo modo di pensare e di essere si profila all’orizzonte.
Voglio l’amore? Piuttosto che razzolare sui siti d’incontri o messaggiare allo sfinimento ogni potenziale ‘preda’, m’impegno ad ‘essere amore’ e a ‘dare amore’ incondizionatamente. Comincio a notare -e quindi ringraziare- le mille forme in cui l’amore è già presente nella mia vita, non fosse altro il cibo che ogni giorno mi sostiene o la casa che mi protegge dal freddo.  Non sarebbe nemmeno male ringraziare quegli amici comprensivi e fedeli che continuamente molliamo e dimentichiamo a ogni nuovo fidanzato/a. 


Voglio un lavoro stabile? Inizio a lavorare su di me, unico lavoro che non soffre di precariato, per quanto ne so. E’ sempre disponibile, sempre presente, apre il cuore e la mente oltre alle porte di una serena abbondanza e fiducia nell’esistenza.
Voglio un figlio? Posso iniziare con l’amare anche i figli altrui o coloro che non hanno genitori.  Posso cominciare a ‘curare’ e dare attenzione alla Vita ,  diventando così madre/padre dell’umanità. Posso anche dedicarmi alla creazione in altre forme: dal fare una torta che rallegra i palati allo scrivere una poesia che fa vibrare i cuori.
“Non c’è tempo da perdere” - e , appena mi rilasso portando attenzione, grazia e presenza in ogni istante della mia vita - mi accorgo che, in realtà, non c’è proprio  ‘il tempo’.

#Vedi post precedente No Time To Lose


Ultima foto di Massimo Pistolesi
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NO TIME TO LOSE - Gli obiettivi di vita

“Il ruolo più difficile è recitare se stessi, permettersi di essere se stessi, togliersi di dosso la maschera.” (Vadim Zeland)


“A questa età, non abbiamo tempo da perdere”. Ecco una frase che sento ripetere spesso dai miei coetanei, uomini e donne che si avviano alla quarantina, benché ci siano pure ‘le avanguardie’ che si pongono la questione già verso i trenta.
Man mano che il tempo passa, molti si mettono a fare un bilancio degli obiettivi raggiunti, di quelli mancati e di quelli ancora possibili da realizzare: lavoro, casa, matrimonio/relazione stabile, figli. Nelle donne - eccetto me che però non faccio testo - pare si attivi il cosiddetto ‘orologio biologico’ , ossia la necessità di diventare madri, cosa che per loro, a differenza degli uomini, ha ‘date di scadenza’ imprescindibili. Ho sentito però anche uomini sui quaranta parlare di ‘fallimento biologico’ perché, essendo figli unici e senza una compagna, si rammaricano di non mandare avanti ‘la stirpe’, il cognome. Tuttavia, in entrambi i sessi, raggiunta una certa maturità psicologica (che non è da darsi per scontata, anzi!) sorge il desiderio di una relazione di coppia stabile che può porre le fondamenta per una nuova famiglia.


Del resto la scienza ha ampiamente comprovato che la componente istintiva nell’essere umano, rispetto agli altri animali, gioca un ruolo decisamente marginale. In compenso, l’uomo ha una forte componente emotiva-mentale, per cui può amplificare la parte istintiva fino a giungere a patologie, ossessioni e perversioni. Tutto questo per dire che la mente ci scappa di mano tanto quanto ovaie e testicoli, anzi, forse di più. Generalmente e fortunatamente, comunque, alla semplice pulsione procreativa si aggiunge il desiderio di una sana realizzazione sentimentale: la ricerca di un partner adeguato a tutta la nostra personalità, non solo alla sfera biologica.
Fin qui, ho parlato delle tappe evolutive standard di un essere umano, secondo la natura e secondo la società. Sappiamo bene che c’è anche chi, in ogni epoca e per svariate ragioni,  si è sottratto a tali ‘scansioni’ e ha fatto altre scelte. Senza entrare in merito a ciò, mi interessa sottolineare come questa epoca, quella in cui stiamo vivendo, sia particolarmente ricca di possibilità e allo stesso tempo di pressioni che rendono ancor più stringente il senso di ‘accelerazione’ del tempo, personale e collettivo. 


# vedi post successivo No Time For Karma


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domenica 8 marzo 2015

FORGIVE AND FORGET - Perdona e dimentica

Time is on my side - Il tempo è dalla  mia parte (Mick Jagger)

La forma di dimenticanza che invece vorrei ‘elogiare’ è quella che facilita una sana distanza dalla propria storia e dalle beghe personali. Ha una qualità di perdono e leggerezza, invita a muoverci con una certa agilità lungo le strade della vita. Come rispose una volta Massimo Rodolfi a chi si lamentava ‘che le sue valige erano pesanti’: “Ragazza, nel regno dei Cieli si entra al massimo con un beauty-case”.


Beninteso, occorre prima averla vissuta, sentita e anche sofferta in pienezza la propria storia per poi poterla davvero lasciare andare, specie nei suoi momenti più dolorosi. Tuttavia si nota un certo affezionamento, anche un po’ perverso, ai nostri problemi, alla nostra sfiga, alle nostre sconfitte, alle nostre paure. 
Non di rado, tutti questi ricordi infelici - talvolta anche nostalgicamente felici - sono una zavorra che ci impedisce di andare realmente avanti. Zavorra anche nel senso più letterale del termine, perché i pesi interiori hanno la brutta tendenza a tradursi in peso corporeo o incapacità di dimagrire. Consideriamo un po’ quanta gente, quante situazioni, quanta roba portiamo mentalmente costantemente con noi.


Tutto ciò solo per parlare del livello emotivo, per cui voglio spezzare una lancia anche a favore della dimenticanza sul piano mentale, quello dei concetti, delle nozioni. Quasi tutti avremo sentito la favola zen del filosofo occidentale che va dal Maestro zen per imparare questa disciplina. Nel prendere il tè, quest’ultimo continua a riempire la tazza benché già piena. Alla protesta del filosofo il maestro risponde che occorre prima svuotarsi di quanto già si pensa di sapere per apprendere qualcosa di nuovo.
Dunque è necessaria una serena ‘dimenticanza’ del conosciuto e delle nostre sacre auctoritates per potersi accostare alla vera conoscenza - alla Sophìa - con freschezza, simpatia e stupore. Elogio perciò l’ignoranza nel senso socratico del termine, ossia il saper lasciare in noi uno spazio aperto al ‘non so’, all’Altro, alla Vita. Probabilmente solo così è possibile superare la noia, la coazione a ripetere, il senso di pesantezza, torpore e impasse che spesso caratterizzano noi, umanità contemporanea.



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FORGETFULNESS - L’ elogio della Dimenticanza

“I can remember much forgetfulness - Posso ricordarmi tanta dimenticanza” (Hart Crane)


Questo post sembrerà un’apologia della mia notoria scarsa memoria, della mia incapacità di analisi e forse un tentativo di camuffare e spacciare per ‘evolutivo’ il mio Alzheimer incipiente. Ma anche sì. 
La dimenticanza può avere varie valenze, da valutarsi sulla base dei frutti che la suddetta dimenticanza produce e porta con sé.  Il tipo di dimenticanza che considero un po’ più ‘involutivo’ -ma che comunque ha una sua funzione- può derivare da due fattori, opposti in quanto causa ma identici nell’effetto.
Uno di essi è il freudiano processo di rimozione, nozione ormai ampiamente di dominio pubblico. Quando un evento ha una portata emotiva eccessiva per l’organismo che ne fa esperienza, si attiva un meccanismo di difesa che sposta l’evento ‘in cantina’ al fine di non disintegrare l’io della persona. Dunque un processo sacrosanto, anche se ovviamente il mostro in cantina avrà poi le sue conseguenze. 


Quella che invece mi sembra davvero poco evolutiva invece è la tendenza generalizzata a rimuovere le emozioni, anche quelle che, con un piccolo sforzo, saremmo ben capaci di metabolizzare - anzi, ci farebbero perfino maturare. Accadimenti relativamente ‘innocui’ come la fine di una storia sentimentale, un improvviso innamoramento o l’incontro con qualcosa di nuovo vengono talvolta percepiti come ‘disturbanti’ e quindi accantonati sotto la soglia della nostra coscienza. Ciò produce una società di bradipi affettivi, incapaci di affrontare il minimo disagio e che per qualsiasi interrogativo esistenziale ricorrono allo psicofarmaco, allo psico-alcool o allo psiconano. 


L’altro tipo di dimenticanza è più strutturale e si manifesta quando, per svariati motivi, la persona non ha sviluppato un corpo emotivo decente. La scienza ha ampiamente dimostrato che la memoria è collegata alle emozioni, per cui chi non le prova,  dimentica facilmente e trattiene poco. Anche questo non è proprio un indice di benessere per la persona in questione, nonostante possa perfino vantarsi di una grande stabilità emotiva.
Su questa linea aggiungo che sarebbe auspicabile cercare di ‘chiudere i cerchi’, ossia non lasciare persone e situazioni ‘sospese’ in eterno e anzi, chiedere scusa o offrire chiarimenti laddove questo è ancora possibile. E’ un atto di amore verso se stessi, oltre che verso la relazione o la persona ‘incompiuta’. 

#Continua nel post successivo Forgive and forget - Perdona e dimentica


Foto di Chiara Benelli e parrucche Luigi14
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