giovedì 22 dicembre 2016

HOW MUCH CAN I TAKE? - Dare e ricevere

“There's a goddess in the doorway - C’è una dea sulla soglia
Asking how much can I take - che mi chiede quanto sono capace di prendere
And it looks like she's heading my way - Sembra che stia guidando la mia strada
There's a goddess in the doorway - c’è una dea sulla soglia”  (Mick Jagger)


Negli ultimi giorni mi sono accaduti una serie di piccoli ma importanti episodi che, ancora una volta, mi hanno fatto riflettere su come si possa realmente imparare qualcosa da chiunque incrociamo sul nostro cammino, si tratti anche solo dell’incontro di un attimo. 
Persone che, erroneamente e arrogantemente, ritenevo poco capaci di provare, figuriamoci di esprimere, sentimenti di gratitudine, affetto o dolcezza mi sono state ‘maestre’ a tutti gli effetti nel dimostrare concretamente di tali qualità. Alla luce di questo, mi è tornato in mente uno dei tormentoni tipici dell’esperienza relazionale umana, ossia l’intramontabile “perché do sempre così tanto e ricevo sempre così poco?” 


I recenti episodi di cui scrivevo sopra hanno un po’ ribaltato la prospettiva con cui generalmente tendiamo a valutare le nostre relazioni, specialmente quelle più strette o intime. Mi chiedo infatti adesso quanto siamo noi realmente capaci di ricevere: di avere occhi per vedere, orecchie per udire e braccia per accogliere ciò che l’altro ci sta dando o indicando mentre noi siamo tutti indaffarati a tentare di ‘educarlo’, ‘correggerlo’, ‘migliorarlo’.
Quanto siamo aperti alla bellezza dell’altro?  Quanto siamo in grado di percepire, non voglio nemmeno dire di apprezzare, quelle qualità che lui (o lei) ha sviluppato e che, sia mai,  potrebbero essere utili anche a noi? Siamo, in genere, molto bravi a elargire consigli, fare diagnosi e a imbastire interventi correttivi - specialmente sul prossimo - trascurando però lo stesso messaggio educativo che il prossimo, già con la sua semplice presenza e modo di essere, ci sta offrendo. 


Forse è il caso di provare ad aprire un maggior spazio di ascolto, apprezzamento e incoraggiamento nei confronti delle persone che ci circondano, siano esse genitori, figli, amici o partner. Un tale tentativo potrebbe sanare e  potenziare la maggior parte delle nostre relazioni o, se non altro, potrebbe favorire un nuovo modo di vedere noi stessi: con più simpatia, accettazione e, perché no, magari anche con più amore.


Per prenotare un trattamento olistico o un colloquio  di Counseling contattatemi attraverso il mio sito  Le Vie per l'Armonia.

martedì 13 dicembre 2016

SENTIAMO SEMPRE PIÙ SPESSO PARLARE DI CAMBIAMENTO - Una riflessione di Carlo Pagliai

Posto qui di seguito un articolo di Carlo Pagliai, con una riflessione volutamente un po' provocatoria sulle dinamiche del 'cambiamento' all'interno della coppia:


Sentiamo sempre più spesso parlare di Cambiamento, di Crescita personale e di cambiamenti interiori. 
Ognuno di noi cresce con propri archetipi ricevuti dall'ambiente circostante, in primis dai genitori. Crescendo attribuiamo a noi stessi un proprio archetipo, e lo stesso facciamo con il prossimo. Ad ogni persona e ai nostri partners assegniamo un vero e proprio "timbro mentale", in termini informatici apponiamo un "link" del tipo: "persona X, carattere e personalità Y".
Questo tipo di relazione, vincolo o link, come preferiamo chiamarlo, diventa talmente forte che ristrutturarlo può diventare una enorme fatica, in grado di assorbire energie mentali notevoli.
A volte chiediamo al partner stesso un cambiamento, anche con una certa pressione, sbagliando! 
Il rapporto col partner non va instaurato con "pressione", bensì con complicità. E cos'è la complicità ? La prima cosa che viene in mente è la coppia di persone che trasgredisce una regola, azione felicemente condivisa prima, durante e dopo il compimento. La complicità si manifesta senza pensarci tanto, senza sensi di colpa e con l'eccitazione che scorre nelle vene nel fare proprio questa cosa assieme. A volte si manifesta con un semplice sguardo, come se fosse magia o telepatia.
In mancanza di complicità col partner, una possibile alternativa diventa la rassegnazione lassista da una parte, e accetti di vivere il rapporto con la stessa rassegnazione che ti hanno inculcato le tue figure significative, accettando quindi il loro modello di un rapporto con l'altro sesso basato su compromessi e pigra accettazione".
L'altra alternativa può essere il "pressing". Ti rendi conto di non voler più accettare l'attuale relazione stagnante col partner, diventi consapevole e desideroso di cambiamenti verso il partner perché nel frattempo tu sei cambiato. Ed è così che inizi a fare pressing, chiedendo modifiche, manifestando i tuoi desiderata in diversi modalità. Conversazioni, mail, immagini, sms, whatsapp, messaggi segreti: tutto inutile. Neppure triangolando attraverso la persona amica più prossima al partner, le tue comunicazioni arrivano al ricevente, e ricevi zero feedback. Se tutto va bene, la risposta è un assordante silenzio. Se tutto va male, il partner ti risponde con un laconico languoroso "o mi accetti o cambia partner".
In quel preciso istante, nel grande gioco dell'oca chiamato "vita", torni indietro di qualche casella indicata dal partner, imponendoti anche l'accettazione del suo archetipo. Il tuo tentativo di pressing non solo va a vuoto, ma si ritorce un contropressing: ha vinto la pressione uguale e contraria del partner, mentre la tua è dissipata.
Quindi, come una molla tesa, la tua aspettativa di cambiamento del partner torna allo stato di quiete, con tutta la resilienza possibile. E il tuo stato d'animo ? Anch'esso torna indietro di qualche casella.
Esiste sempre una terza via. Poniamo una domanda provocatoria: nel momento in cui il partner si "pieghi" alla pressione dei "desiderata", la tua mente che ha associato un certo archetipo per esso, è in grado di dissociare, formattare e riassegnare un nuovo archetipo?
Mi spiego meglio in maniera più provocatoria: il tuo partner per quindici anni rifiuta di condividere e vivere con complicità; se per qualche ragione compiesse quel tanto atteso cambiamento, tu saresti pronto per relazionarti in presenza del cambiamento ?
Essere in grado di rapportarsi con una persona che ha fatto cambiamenti, e che alla tua percezione appare totalmente difforme all'archetipo che hai di esso, non è proprio semplice. 
La domanda da porsi è se siamo pronti a vivere con lo stesso contenitore "partner" ma con un contenuto diverso, resettato e formattato proprio come un sistema operativo di un computer.
Mi viene in mente il più classico dei classici episodi da  cartone animato in cui si scambiano i cervelli tra due personaggi. Ognuno di noi a quel personaggio attribuisce un significato, un comportamento, un modello comportamentale. In ingegneria il termine "modello" presuppone la prevedibilità di un comportamento, come un insieme di stringhe "if else", cioè una serie di azioni che avvengono sotto condizioni. Se avviene questo, allora avviene quest'altro. Un banale modello previsionale. 
Anche la nostra mente è abile ad attribuire uno specifico modello previsionale per ogni persona. 
Come un gigantesco software, la nostra mente assegna una serie di "if else" ad ogni persona, e soprattutto al partner, la persona con cui siamo destinati a trascorrere la maggior parte del tempo. L'archetipo che assegniamo al partner contiene appunto tutti questi "se allora" sedimentati nel corso del tempo, proprio come fa la sabbia sul fondale marino.
Nel momento in cui il nostro software mentale ha stratificato un notevole archetipo del partner, siamo in grado di ristrutturarlo ?
Se da una parte ci brucia la frustrazione del suo mancato cambiamento, dall'altra sei sicuro che non possa intimorirti il suo cambiamento stesso ?
Vivi da anni con un partner "pecora": se nel giro di poco tempo diventasse "leone", la tua mente sarebbe in grado di operare la stessa sostituzione che ha fatto il partner ?
In questo caso gioca non solo la sostanza, ma anche la variabile "velocità": la tua velocità di cambiamento mentale sull'archetipo previgente è minore, uguale o maggiore della velocità di cambiamento del partner?
Si ritorna un po’ alla definizione iniziale. Se la tua velocità mentale è uguale o maggiore del partner, si rientra nell'ambito della complicità.
Se fosse inferiore, ahimè, il problema non è più il non-cambiamento del partner, ma il tuo cambiamento rispetto a quello del partner.
Anni e anni passati nell'attesa di una mutazione dell'altro, formati da paure miste a frustrazione, potrebbero cambiare punto di destinazione, passando dal partner a te stesso.
Quindi, prima di pretendere il cambiamento dal prossimo, bisogna verificare di essere in grado di accertarne l'effettivo manifestarsi, oppure l'aspettativa dei tuoi accorati desiderata rischia di ritorcersi contro. Amplificatamente, aggiungerei.
Carlo Pagliai.