giovedì 1 marzo 2018

PERCHÉ L'AMORE NON DURA? - Sustained Love (J.Needleman)

“Mi piace fare jogging, eccetto la parte che viene dopo che ti sei messo le scarpe.- I like jogging, except for the part after wearing your shoes.”(Milton Berle)


Perché l’amore non dura? Talvolta ci chiediamo come mai la nostra società sia caratterizzata da ‘rapporti liquidi’, veloci a formarsi e soprattutto a disfarsi, caratterizzati da una dimensione di disimpegno ed edonismo - cioè di pura ricerca di emozioni e piacere. Io sono il primo esempio di questa estrema difficoltà relazionale, visto il mio matrimonio iniziato e finito nel giro di pochi mesi, nonostante l'impegno e le migliori intenzioni messi in campo da entrambi. Ogni caso è un universo a parte, ogni coppia ha le sue leggi e le sue alchimie non facilmente riducibili a generalizzazioni o a schemi, tuttavia una delle possibili risposte al quesito 'Perché l'amore non dura?' può essere quella filosofo americano Jakob Needleman. Ne riporto qui di seguito sia la versione italiana che il testo originale inglese: 
“L’amore duraturo ha a che fare con la lotta.  Il dono dell’amore ‘automatico’, che la natura ci dà spontaneamente all’inizio di un rapporto,  comincia a cambiare e a trovare resistenza: qualcosa gli si oppone, il che è inevitabile in ogni processo vitale. Quando appare la resistenza, occorre la volontà e l’intenzione. Le persone che non riescono ad attivare tali qualità cercheranno un altro impeto di passione “automatica”: vorranno ancora l’entusiasmo e la passione iniziali perché non richiedono tanto lavoro. 
Infatti c’è sempre un punto, nella vera relazione d’amore, in cui il lavoro è richiesto e ciò significa muoversi contro tutti gli istinti, gli impulsi e le distrazioni che generalmente ci attanagliano: altre attrazioni, gelosia, senso di inadeguatezza, paura della responsabilità…per non parlare poi delle semplici questioni di vita quotidiana che tanto ci appesantiscono. Queste difficoltà non appaiono tutte insieme, ma si manifestano col passare del tempo; ecco perché dobbiamo rinnovare la nostra intenzione molte volte, per creare un amore duraturo." 

  
"Sustained love has to do with struggle. The automatic gift of love that is given to us by nature begins to change by encountering resistance — where something comes in against it, an inevitability in any process of life. When resistance appears, intention is required. People who can’t make it past that point will go looking for another hit of automatic love; they’ll want to fall in love over and over again because it doesn’t require so much work. Because there always comes a point in the real love relationship when work is required, and that means working against all the impulses and distractions that we are heir to: other attractions, jealousy, sense of inadequacy, fear of responsibility, not to mention dealing with the simple day-to-day matters of life that can wear us down. These difficulties don’t appear all at once; they occur over time, and that’s why you must renew your intention many times to create sustained love.” 

Tratto dal libro “Necessary Wisdom” (Necessaria Saggezza) di Jakob Needleman pubblicato dalla Fearless Books Necessary Wisdom


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domenica 11 febbraio 2018

L'AUTOSTIMA 2 : Quando non tutto è dovuto

“La strada maestra è l’azione. La via che porta alla conquista della fiducia in se stessi e della stima di sé è l’azione.”(Bruce Lee)



Continuando il discorso del post precedente, quello che mi piace dell’autostima, così come di ogni altra qualità interiore, è che la si può ‘costruire’ - possiamo prendercene piena responsabilità. Naturalmente non tutti amano la parola ‘responsabilità’: sa tanto di impegno, forse anche di fatica o sforzo. L’altra faccia della medaglia è che ‘responsabilità’ profuma anche di libertà, potenza e indipendenza. Poniamo che ci sia qualche creatura curiosamente interessata a tali virtù, come fare dunque per costruire la propria autostima?
Ci sono vari passaggi, che dipendono in primis dal grado di consapevolezza che abbiamo riguardo al problema. Per esempio, se siamo particolarmente in crisi, senza energie e disorientati, un primo grande atto di amore e stima verso noi stessi sta proprio nel chiedere aiuto. Questa richiesta, che può essere rivolta sia alle persone care che a un professionista, denota una reale volontà di cambiare piuttosto che il classico crogiolarsi nello status quo. 


Se invece abbiamo la sensazione  di potercela fare da soli e che il nostro percorso di autostima vada solo potenziato e non costruito da zero,  possiamo operare due passaggi: scoprire quali sono i NOSTRI parametri riguardo la NOSTRA autostima e da ciò programmare piccole azioni quotidiane in tale direzione - azioni che ci diano il senso dell’impegno, dell’affetto e della cura verso noi stessi. 
Il primo passo implica discriminare tra ciò che la società o i media propongono come metro di approvazione o successo e ciò che NOI invece riteniamo fondamentale per realizzarci e ricavare un senso di piacere e soddisfazione dalla nostra vita. Un esempio? La società potrà dirci che siamo dei falliti se non abbiamo un lavoro da almeno 3000 euro al mese, mentre noi, a conti fatti, sappiamo che possiamo vivere bene anche con 1000. Se già guadagniamo ciò che ci serve, questa riflessione ci svincola da molto senso di frustrazione e facilita la nostra indipendenza mentale ed emotiva dalle convenzioni sociali. 
Se invece non raggiungiamo ancora i nostri stessi standard, allora possiamo provare a mettere in atto la strategia della piccola azione quotidiana per avvicinarci al nostro obiettivo.  I grandi gesti eroici di solito lasciano il tempo che trovano: sollevano un’ondata di soddisfazione momentanea seguita dal rinculo della fatica e del vuoto. 


Per mia esperienza, è molto più salutare per l’autostima una serena disciplina quotidiana che forzi passo passo la nostra naturale inerzia, dandoci concretamente la sensazione di lavorare per la propria gioia, pienezza e  realizzazione.  
Tornando all’esempio suddetto, se il problema dell’autostima deriva dalla mancanza di lavoro, piuttosto che lamentarci della crisi giocando alla play-station o invidiare chi lavora, magari un bel mattino inviamo dei curriculum, il mattino dopo ci iscriviamo a un centro dell’impiego e così di seguito. Se invece la nostra frustrazione e senso di non valore deriva dalla scarsità di lavoro o dalla scarsa retribuzione, potremmo cominciare col pubblicizzare giornalmente e regolarmente i nostri servizi (anche semplicemente usufruendo dei network gratuiti) o sondare la possibilità di un aumento di stipendio se siamo dipendenti.

Il famoso detto ‘aiutati che Dio ti aiuta’ si basa proprio su questo principio: la vita generalmente viene incontro a chi fa un gesto per rompere il muro della sfiducia, del ristagno e del senso del dovuto. L’esperienza mia e delle persone intorno a me mi ha dimostrato che si può comprare un cellulare mettendo da parte ogni giorno gli spiccioli rimasti dalla spesa o si può acquistare un casa anche senza un lavoro fisso poiché, come insegna il Tao Te Ching, “un viaggio di mille miglia, inizia con un passo”.


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L'AUTOSTIMA 1 : Perché agli altri sì e a me no?

“Avanti dillo! Dillo almeno una volta. Prova a dire: sono l’apoteosi di me stessa, la mia migliore amica, la mia compagna d’armi. Io sono il mio eroe.”(lib. riad. da Lee Ward Shore)
“L’orgoglio è una sensazione di valore che deriva da qualcosa che non è organicamente parte di noi, mentre il rispetto di noi stessi deriva dalle potenzialità e dalle conquiste dell’Io.”(Bruce Lee)



Quello dell’autostima è un tema molto popolare oggigiorno e, a tale proposito, ho trovato illuminanti le riflessioni di Andrea Giuliodori nel suo blog ‘EfficaceMente’ e nel suo libro "Autostima passo passo”. Si tratta di un blog estremamente ricco e sfaccettato: possiamo trovarci sia consigli pratici tipo come gestire il nostro denaro, sia indicazioni ‘spirituali’ o esistenziali come l’introduzione alla meditazione e la filosofia dei Samurai. Per questa completezza e sostanziale pragmaticità, raccomando sia il blog che i libri di Andrea a chiunque abbia il desiderio di  migliorare qualche aspetto della sua vita.
Tornando all’autostima: le osservazioni di Andrea confermano quella che è sempre stata la mia sensazione e la mia esperienza, ossia che non si possiede autostima soltanto “per grazia ricevuta”. Questo impegno a volersi bene, questa capacità di darsi valore è solo in parte imputabile a genitori supportivi, insegnanti incoraggianti o partner innamorati. Sicuramente sono tutti fattori che incidono fortemente sulla percezione e sull’immagine che il bambino e poi il giovane adulto forma gradualmente di se stesso, tuttavia arriva un momento della vita in cui non potremo più misurare il nostro valore solo in base ai feedback che riceviamo dall’esterno.





Essi, difatti, sono per loro natura ambivalenti: innanzitutto perché, anche solo per statistica, non si può piacere a tutti, in secondo luogo perché i giudizi, in genere, definiscono più chi giudica che il giudicato. Ovviamente se a quarant’anni ci troviamo soli come cani, senza amici e senza lavoro, ritengo sia lecito e anche sano farsi due domande su ciò che effettivamente ci rimanda il nostro ambiente.
D’altro canto, si può avere la mamma più amorevole del mondo, il partner più comprensivo sul mercato e i professori più illuminati dell’universo ma se siamo in partenza dei pozzi senza fondo, l’acqua dell’apprezzamento proveniente dall’esterno tenderà comunque a disperdersi. Sarà forse questo uno dei significati impliciti nelle parole sibilline del vangelo “…a chiunque ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha ?”
## Continua nel post seguenteL'AUTOSTIMA 2: Quando non tutto è dovuto

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sabato 18 novembre 2017

IL PIACERE 2 - La natura umana

“E’ la natura umana - It’s human nature” (Madonna)


Per quanto concerne l’essere umano, il piacere autentico, oltre alla componente fisica e sensoriale, comprende anche i caratteri di intelligenza e volontà. Questo perché tali facoltà dovrebbero distinguerci, almeno in parte, dal regno vegetale e animale. Intelligenza, dal latino inter (tra) legere (scegliere), indica la capacità di discriminare, cioè appunto di scegliere tra qualcosa di nocivo e qualcosa che invece fa bene al corpo e alla mente. La volontà sta poi nell’aderire  e attenersi consapevolmente e liberamente a questa scelta.
Da ciò deriva che le dipendenze e le compulsioni non potrebbero essere definite piaceri, benché ne producano a livello fisico e psicologico gli stessi effetti (euforia, diminuzione dell’ansia ecc..). In tali casi infatti, volontà e intelligenza sono subordinate al bisogno stringente di una soddisfazione parziale e immediata, senza grandi margini di scelta o libertà per la persona.  Per cui, se dotiamo di volontà e intelligenza il concetto e l’esperienza del piacere, osserviamo che diventa specchio di alcune tra le più elevate facoltà umane. 


D’altronde, ognuno sceglierà la quantità e la qualità di piacere che più lo rappresenta. Per alcuni i piaceri saranno prevalentemente di tipo sensuale (cibo, sesso), per altri avranno caratteri più emotivi o intellettuali (il piacere di amare, di conoscere, delle relazioni interpersonali), per altri ancora, infine, saranno di natura più rarefatta e spirituale (il piacere di creare, di contattare la pace interiore, il piacere della libertà dai vincoli psichici e fisici).
Sebbene ognuno di noi tenda a prediligere specifiche categorie di piaceri, in ultima analisi nessuno di essi esclude gli altri. A seconda di come siamo, la nostra scelta cadrà in percentuale maggiore verso i piaceri connessi alla dimensione in cui ci sentiamo più a nostro agio, sia essa il corpo, le emozioni, l’intelletto, o lo spirito. La possibilità e la capacità di poter godere su più livelli, infine, si traduce in un potenziato senso di piacere generale che potremmo definire il piacere stesso di vivere.

## Dal post precedente  IL PIACERE 1 - Il piacere e la gioia


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IL PIACERE 1 - Il piacere e la gioia

“La differenza tra il piacere e la gioia? Ohhh….la distanza da qui alla luna - da qui a un’altra galassia! Il piacere è un tentativo di riempire te stesso. La gioia è ciò che sei. -  The difference between pleasure and joy? Ohhh . . . the distance is from here to the moon—from here to another galaxy! Pleasure is an attempt to fill yourself. Joy is what you are.” (Byron Katie)


Come ho già detto in altri post, adoro Byron Katie per il suo pensiero radicale, diretto, che non usa mezzi termini né fa concessione a compromessi. La sua citazione in apertura sintetizza la sostanziale differenza che questa autrice traccia tra l’esperienza della gioia e quella del piacere.
Secondo lei, la gioia è uno stato dell’essere: è ciò che siamo quando ci sintonizziamo pienamente con la vita nel presente, neutralizzando - almeno in quel momento - il nostro quotidiano bagaglio di ansie e preoccupazioni. La gioia potrebbe essere raffigurata come il sole luminoso, sempre disponibile, anche se spesso oscurato dalle nubi delle nostre aspettative e condizionamenti. Per raggiungere tale luce occorre ‘togliere’ piuttosto che ‘aggiungere’: è un moto di semplificazione. E’ dunque attenzione e cura reali verso se stessi e verso la vita, cosa  che si traduce nell’identificazione con l’essenziale completezza che già siamo.


Il piacere, sempre nell’ottica di Byron Katie, è un tentativo di trovare la gioia ma con mezzi esterni - quindi una contraddizione in termini. Strumento e oggetto di piacere diventano dunque determinate persone, oggetti o situazioni che, naturalmente, possono anche negarsi o non essere al momento disponibili.
Questa caratteristica diciamo ‘esteriore’ del piacere non deve però denigrarlo o squalificare la sua importante funzione, poiché nell’economia globale della vita tutto ha un suo posto e un suo valore.

##Continua nel post successivo IL PIACERE 2 - La natura umana


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domenica 8 ottobre 2017

DISTACCO 2 - Il distacco da sé

“Proprio a me doveva toccare di essere me!” (Sara Bini)


Relativamente alla mia esperienza, una delle forme di distacco più toste che mi trovo ad affrontare è proprio quello da se stessi. Sia chiaro, prima di tutto occorre un “se stessi” cioè un “io” ragionevolmente sviluppato e discretamente conosciuto per potersene provare a distaccare e poi, soprattutto, occorre la forza e la volontà di farlo.
In linea di massima, per me, tale processo di dis-identificazione avviene grazie a un costante lavoro di spassionata auto-osservazione. Questo, in ultima analisi, può radicalizzare la definizione delle nostre priorità aiutandoci a discriminare tra forma ed essenza, tra ciò che è superfluo e sacri-ficabile (da rendere sacro) e ciò che è fondante e imprescindibile.


Per “forma” non intendo semplicemente il corpo e la sua cura materiale, quanto tutta quella costellazione di convinzioni, emozioni e reazioni con cui normalmente, ma direi quasi automaticamente, ci identifichiamo e ci raccontiamo al mondo. Per “essenza” intendo invece quel centro interiore di pace, sacro e inviolabile, che trascende i limiti delle nostre opinioni, percezioni e azioni, allargandosi al contatto con l’altro e con l’Oltre.
L’incontro tra queste due dimensioni nella nostra coscienza viene percepito spesso come un grosso attrito,  sebbene anche in questo caso ciò che sto sperimentando non ha niente a che fare con  la privazione o l’annientamento della mia individualità. Si tratta piuttosto della messa in discussione radicale, e talvolta dolorosa, di tutte quelle credenze e tendenze che la limitano e la vincolano ma alle quali ormai si è molto affidata e affezionata
Il fine ultimo del distacco da sé non andrebbe dunque visto come un nichilistico disgregrarsi nel nulla; è anzi un liberarsi dalle proprie catene per volare in uno Spazio e in una Presenza molto più ampi, appaganti e amorevoli dei nostri angusti confini personali.

## Dal post precedente  Distacco 1 - Verso l'essenziale


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DISTACCO 1 - Verso l’essenziale

“Quando faccio pulizia nella mia mente, togliendo tutto ciò che è inutile, ecco che trovo la serenità, oltre a una pila di giornali vecchi e la mora sul bollo dell’auto.” (Sara Bini)


“Distacco” è un temine spesso connotato in senso negativo poiché tende ad evocare immagini di rinuncia, perdita e privazione. In effetti ogni tipo di separazione forzata o prematura può generare nell’individuo un carico di sofferenza non indifferente.
D’altra parte, lungo il comune percorso di crescita e maturazione, questo processo può verificarsi anche in modo meno doloroso e, tutto sommato, naturale. Se da piccoli, per esempio, eravamo molto attaccati ai nostri giocattoli, da grandi non abbiamo esitato ad accantonarli quando sono subentrati nuovi interessi e nuove aspirazioni.


Allo stesso modo varie volte, nel corso della vita, operiamo una spontanea revisione dei nostri bisogni e dei nostri oggetti di desiderio: ciò che poco prima rappresentava la fonte primaria di ogni piacere, adesso si svuota, si ridimensiona e noi investiamo la nostra energia altrove. 
La mia esperienza riguardo al distacco assomiglia infatti molto più a un cambiamento di priorità e di prospettiva piuttosto che a una forma di repressione o di rinuncia. Nonostante ciò, talvolta questo processo ha sollevato e solleva in me un acuto senso di angoscia e conflitto, specialmente nei seguenti due casi:

  • quando un bisogno o un desiderio non sono stati sufficientemente incontrati e soddisfatti, per cui restano lì a “covare” minando il passaggio al “livello successivo”;
  • quando due tendenze o istanze divergenti raggiungono la stessa potenza nella coscienza e iniziano a strattonarla violentemente in direzioni opposte.
##Continua nel post successivo Distacco 2 - Il distacco da sé


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