mercoledì 7 novembre 2012

Articolo per l'Associazione 'Noi Che' & cortometraggio di Giovanni Guidelli

Non molto tempo fa abbiamo presentato a Montespertoli un cortometraggio in cui i protagonisti indossavano tutti maschere antigas  di varia forma e tipologia. Aldilà dell’interpretazione  a carattere ambientalista, il vero tema portante del film è la difficoltà di comunicare, sia a livello verbale che non-verbale. La maschere antigas infatti, oltre a ostacolare il dialogo e la parola, nasconde un buona parte della mimica del volto e, soprattutto, il sorriso.


In una società dove i rapporti umani sono sempre più ‘virtuali’ e  affidati alla tecnologia, è bello invece trovare un gruppo di persone che costruiscono insieme lo spazio-tempo concreto di un incontro effettivo, di una possibilità tangibile di amicizia.
L’Associazione  “Noi che…”  è una risposta spontanea e creativa a quell’esigenza di contatto, di scambio e di condivisione che fa parte del nostro patrimonio genetico e che ci caratterizza come essere umani. “Noi che…”, come spiega anche la presentazione qui a lato e come si può leggere nelle pagine successive, non si limita a proporre un  semplice momento aggregativo, bensì offre attività a scopo benefico e momenti e stimoli di riflessione culturale.
E’ quindi per me  un piacere e un onore, come assessore alla cultura e rappresentante dell’amministrazione comunale, lasciare un saluto ed esprimere il mio sincero apprezzamento su questo primo numero del Giornalino dell’Associazione.

martedì 6 novembre 2012

La mia storia : 18 tentativi per (non) diventare una santa



"You'll never make a saint of me - Non farai mai di me una santa"   (Mick Jagger)




Mi trovo piuttosto in difficoltà quando devo di parlare di me ritracciando le tappe del mio cammino interiore. Sono sempre stata una bambina un po’ strana e, parafrasando Woody Allen, non ho mai avuto dubbi che esistesse un mondo invisibile. La questione era: quanto distava dal mio centro umano e qual era il suo orario di chiusura?

In sintesi, la mia storia in questa vita narra le difficoltà di un’incarnazione, di trovare un posto e un senso al mio essere qui. In effetti sono sempre stata più di là, nei regni eterei dell’immaginazione, della musica e della poesia piuttosto che di qua sulla terra, a perseguire gli obiettivi che quasi tutti trovavano interessanti e avvincenti: soldi, successo, un partner, un lavoro fisso.
Il mio essere diciamo ‘eterea’ non faceva comunque di me una di quelle persone che comunemente vengono definite ‘morali’ o ‘spirituali’. Anzi, il mio caratterino  tagliente e spigoloso è stato la croce dei primi anni di vita sia della sottoscritta che dei  poveretti che mi circondavano (e sopportavano). 


Al che, visti i miei disastrosi esordi nelle  relazioni sociali, finite le scuole medie mi posi un  sommo quesito. Non immaginavo che sarebbe stato la sorgente del mio percorso di trasformazione. Mi chiesi : “Ma io, onestamente, sarei il tipo di ragazza con cui uscirei volentieri a prendere una pizza?” e sorprendentemente mi risposi: “No!”
Da lì, più o meno consapevolmente, partì una ricerca che si manifestò e si sperimentò in svariate attività:  disegno, poesia, pittura, scrittura, musica, meditazione.   Fu anche guidata da vari ‘guru’ di cui citerò solo alcuni: Bruce Lee, John Lennon, Mick Jagger, Padre Pio, Lao-Tzu,  Roberto Benigni, Maria Cassi, Gesù Cristo, Buddha, Whoopy Goldberg, Bud Spencer & Terence Hill, Antony de Mello, Byron Katie, Massimo Rodolfi, Rainer Maria Rilke, Samuel Beckett, Madre Teresa, Hermann Hesse, Charlie Chaplin, Raymond Queneau e tutte quelle persone insospettabili, quegli amici del Cuore che con le loro parole e le loro azioni hanno quotidianamente illuminato la mia via.


Li ringrazio dal profondo perché ogni volta mi hanno mostrato una parte di me e  di quella Vita grande e meravigliosa di cui noi tutti siamo allo stesso tempo note e sinfonia.
Questo per dire come ho cominciato. E come non ho finito… né probabilmente finirò mai.


sabato 3 novembre 2012

E ALLORA BEVITI IL TUO TE' 3 - L'esercizio di trasformazione




L’esercizio  che mi ha aiutata nel caso specifico di questa canzone  si trova nel libro I need your love - is that true? (Ho bisogno del tuo amore: E’ vero?)” di Byron Katie. Esiste anche tradotto in italiano ma poiché io ho la versione inglese, procedo con una traduzione personale. Questa meditazione  si chiama appunto ‘Una tazza di tè’ e la riporto per intero: 


Pensate a qualcuno a cui volete piacere, su cui volete far colpo o che , al contrario, esercita un qualche potere su di voi.
Immaginate di prendere una tazza di tè con questa persona. Immaginate che durante questo lasso di tempo voi non fate il minimo tentativo di influenzare la sua vita mentale. Immaginate che tutto ciò che volete è lasciarlo/lasciarla avere i suoi pensieri, il suo tè, la sua esperienza.
Ora immaginate con estrema attenzione voi stessi all’interno di tale scena. Come ci si sente a sedere alla presenza di qualcuno in questo modo? Come ci si sente a  essere se stessi? Cosa notate riguardo all’altra persona?

Per richiedere un colloquio di counseling o un'introduzione alla Biomusica/ meditazione contattatemi su:
Sara Bini Le Vie per l'Armonia

E ALLORA BEVITI IL TUO TE' 2 - Dalla sofferenza all'amore



Questa canzone, semplice fino al banale, nasce in realtà da un esercizio di meditazione.  Come  forse si evince dal testo, è il classico esempio dell’arte che germoglia da un dolore, dall’impossibilità di soddisfare un proprio desiderio. Necessariamente tale energia o implode e diventa rabbia/frustrazione o trova un suo scarico in altre forme, dalle più ordinarie alle più evolute.
 Era l’estate del 2006 e avevo da poco incontrato il gruppo con cui avrei prodotto questo pezzo. Uscivo da un innamoramento feroce per un sassofonista che frequentava la mia stessa scuola di musica e che aveva già una compagna, con cui conviveva. Pur riscontrando una certa attrazione anche da parte di lui, non era e non è  nel mio stile lottare per un partner, soprattutto quando si tratta di strapparlo a un’altra donna.
C’è una legge superiore, nelle dinamiche interne della Vita, per cui qualsiasi cosa io intenzionalmente tolga a un altro in realtà la sto togliendo a me stesso. Ecco il perché del verso “Che cosa voglio prendere, a te, a lei , a voi – a me”.


La canzone ripercorre così il mio movimento di ‘purificazione’ nel senso etimologico del termine che significa ‘liberazione’. Si comincia, come canto nella prima strofa, da un guardare che non è  voyeuristico o morboso, bensì il tentativo di un avvicinamento autentico a questo ragazzo. L’unica possibilità di reale intimità, paradossalmente, risulta in un atto di contemplazione disinteressata, con cui si cerca di vedere l’altro per quello che è : un soggetto degno di rispetto e non  oggetto del nostro bisogno.
Cosa succede quando diamo genuinamente attenzione a una persona? Quando riusciamo, per un attimo -perché basta anche solo un attimo-, a percepirla senza il velo dei nostri desideri, dei nostri preconcetti, delle nostre paure? Ecco che avviene un ‘contatto’ a un livello più profondo di quello semplicemente fisico, emotivo o mentale. Si sente  quella meravigliosa scossa vitale che in India chiamano ‘tat twam asi – questo sei tu’.  Sorge spontanea la compassione  -e non fraintendiamoci su questo termine-  non è pietà, visto che in questo caso la povera sfigata avrei dovuto essere io. La compassione è unione nel senso più alto delle parola:  riconosco allo stesso tempo in me e nell’altro il limite dell’umano e la grandezza del Sacro.
 A questo punto la domanda ‘Che cosa voglio prendere?’ si sfalda. Voglio qualcosa dalla sua umanità, dalla sua sofferenza? Grazie tante, mi basta e mi avanza la mia. Dal suo Mistero, dalla sua Sacralità? Ce l’ho già, fa parte dell’essenza più intima di ognuno di noi. Ecco che cade ogni ragione di lotta, di possesso, di competizione anche verso l’altra, la sua compagna, che viene percepita più come ‘sorella’ che come rivale.


 Le altre due strofe, infine, tornano a illustrare  quello che purtroppo è il normale teatrino della comunicazione umana: il non -ascolto, il narcisismo, la ricerca dell’altro solo per colmare i propri bisogni di riconoscimento, affetto e attenzione. Ciò di cui parlo è pane quotidiano per me come per molti - ed è proprio nel qui ed ora, prendendo consapevolezza di tali meccanismi, che si può lottare per uscirne.
Questa è l’unica battaglia che ritengo degna di essere combattuta: lo sforzo quotidiano per la liberazione interiore. Una persona libera è innocua, amorevole e saggia;  non manipola e non è manipolata.  Ma come si può cominciare a lavorare seriamente e concretamente per ottenere una vita più rilassata, più piena, più amorevole? Da che parte si comincia? Generalmente da dove siamo, osservando come diciamo ‘buongiorno’ al capufficio o al partner la mattina, come guardiamo le persone al bar,  cosa pensiamo o come reagiamo appena non troviamo parcheggio per l’auto.


 Occorre un po’ di allenamento e un po’ di esercizio, come in tutte le cose. Non abbiamo cominciato a camminare dal nulla, né abbiamo subito iniziato a parlare come grandi oratori. Il ritornello di questa canzone ci indica proprio un esercizio di visualizzazione che è ottimo per cominciare ad allenarsi a trasformare le nostre relazioni. Lo riporto per intero nel prossimo post.
 
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E ALLORA BEVITI IL TUO TE' 1 - la canzone e il suo testo



Qui di seguito riporto il video e il testo di una canzone scritta nel 2006, musicata dai miei amici della Band "Fari Rosa" e frutto della mia riflessione su una storia d'amore infelice. Attraverso questa esperienza, lo sforzo è stato andare oltre il desiderio egoistico e il presunto piacere personale, cercando invece di  agire verso l'innocuità. Sono consapevole che la disarmonia prodotta intenzionalmente in una situazione prima o poi si riverberà anche su di me.
In realtà, ogni atto di apparente 'rinuncia' che va in direzione del bene maggiore è una dichiarazione d'indipendenza della nostra anima rispetto alle illusioni e alle false lusinghe che c'incatenano alla sofferenza.
Probabilmente in quel caso ero abbastanza forte e pronta per compiere questo tipo di scelta e agire di conseguenza - altrimenti avrei vissuto l'esperienza nel suo 'normale' svolgersi di desiderio e possesso, con tutti gli annessi e connessi di apprendimento a posteriori.

Video (cliaccare sopra il link seguente)


 
Testo:

Lasciati guardare ancora un po'
ancora ancora ancora di più,
da più vicino, più vicino a me
ancora ancora ancora di più
e scopro che  sei come me
che cosa voglio prendere
da te, da lei, da voi, da me
che cosa voglio prendere!
Parli e non ti sento perché penso
a quello che vorrei da te
io non ti sento, solo penso
a ciò che pensi tu di me
E scopro che amor non è
ti prego non fraintendere
in fondo tu sei già con lei
che cosa voglio prendere!
E allora beviti il tuo tè
che io ti lascerò in pace
tesoro, beviti il tuo tè
e io ti lascerò andare 

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venerdì 2 novembre 2012

Il COUNSELING – Lo Spazio di un Incontro





Mi piace molto la storia etimologica della parola counseling. Viene dal verbo latino consulo-ĕre - traducibile in "consolare", "confortare", "venire in aiuto”-  che a sua si compone della particella cum ("con", "insieme") e solĕre ("alzare", "sollevare"). Quindi ‘sollevarsi insieme’ sia letteralmente come atto, che nell'accezione di "aiuto a sollevarsi".
Chi, almeno una volta, non si è sentito ‘atterrato’ dalla vita, sopraffatto dalle circostanze, alla ricerca di una mano tesa in segno di aiuto? Parlo di persone ‘normali’,  con vite più o meno funzionanti che a un certo punto s’imbattono in una crisi, in un cambiamento inaspettato, in una domanda di senso.


Il counseling ha un ampio raggio di applicazione.  In linea generale,  si può dire che si occupa del quotidiano, di come affrontare la vita e i problemi di ogni giorno con più saggezza e più serenità, con nuovi strumenti o più semplicemente con nuovi occhi.  La mia counselor, durante il mio percorso con lei, diceva  ‘Il counseling è un tipo di riflessione che ammorbidisce la spigolosità del quotidiano e aiuta a condividere quelle domande o quei discorsi che altrimenti ci faremmo da soli in camera o davanti a un muro”.
Il counselor può quindi sostenerci riguardo a un problema concreto (mancanza di lavoro, separazione da un partner, difficoltà a prendere una decisione) intervenendo con delicatezza su  quegli aspetti un po’ infelici o inefficaci della nostra comunicazione, interna ed esterna. A volte basta semplicemente aprire lo spiraglio a una visione e a una percezione diversa della realtà per rimettere in moto la nostra vita, per farla diventare più fluida, gioiosa, fragrante.


Questa operazione allo stesso tempo così delicata e meravigliosa richiede uno spazio e un tempo protetti, salvaguardati dal fragore e dalla frenesia della vita odierna. Per cui lo studio del counselor e il tempo dell’incontro diventano manifestazione tangibile di quello spazio interiore che pian piano impariamo ad aprire in noi stessi: uno spazio di silenzio, pace e rielaborazione del proprio vissuto. E’ lo spazio ‘sacro’ che ci permette di crescere, di porsi delle domande e lasciar affiorare le proprie risposte; è il laboratorio personale in cui trovare soluzioni, strategie alternative,  contattare nuovi sentimenti e nuovi  pensieri.



In un momento storico caratterizzato dallo sgretolarsi delle vecchie certezze, da un isolamento crescente, dall’ottundimento e dal mascheramento delle relazioni, forse diventa vitale recuperare un po’ di sana umanità, reimparando l’arte dell’incontro con sé stessi e con la vita che ci circonda.


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Sara Bini Le Vie per l'Armonia