“La discesa ai regni inferiori è connessa al potere redentore del canto
e all’apoteosi della poesia. Il poeta stesso infatti compie il passaggio dal
mondo ordinario a quello segreto portando la materia da uno stato oscuro e
dimenticato a una nuova vita immortale” (W.Rehm, ‘Orpheus. Der Dichter und
die Toten’)
Rehm ha coniato la
famosa definizione della poesia orfica come ‘nekyia’, cioè l’interrogazione e
l’evocazione dei morti. Utilizza per la prima volta questa espressione in
riferimento a Novalis, che considera la
personificazione del ‘Poeta Vate’. Siamo nella visione romantica dell’artista
come ‘uomo divino’, profeta e sacerdote allo stesso tempo, che può rivelare
l’autenticità dell’Essere all’uomo comune. Questo gli è possibile
perché possiede il dono dell’immaginazione e può creare, come Dio.
.
L’artista Orfeo è dunque la parola creativa, il principio formale
che cerca di dare un ordine al caos della materia. Secondo questa
concezione, Euridice rappresenterebbe la sostanza primigenia dell’arte, o
per dirla meglio “il nonplusultra che l’arte può raggiungere; lei ha un nome
che non è dato conoscere, sta sotto un velo che la nasconde, è il punto più
oscuro e profondo a cui l’arte, la nostalgia, la morte e la notte sembrano
anelare”.
Il compito dell’artista è proprio
quello di penetrare questa notte, questo abisso e portare tutto alla luce del
giorno, donandogli chiarezza e struttura. L’oscurità e la magmatica molteplicità del mondo si propongono all’artista
attraverso i sensi. Impulsi trascinanti, potenti emozioni e sentimenti intensi sono
le tappe inevitabili della sua formazione. Sono allo stesso tempo la
scaturigine ma anche il pericolo, il rischio cioè di non saper stabilire
l’armonia né questa molteplicità né in sé stesso.
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