“Proprio a me doveva toccare di essere me!” (Sara Bini)
Relativamente alla mia esperienza, una delle forme di distacco più toste che mi trovo ad affrontare è proprio quello da se stessi. Sia chiaro, prima di tutto occorre un “se stessi” cioè un “io” ragionevolmente sviluppato e discretamente conosciuto per potersene provare a distaccare e poi, soprattutto, occorre la forza e la volontà di farlo.
In linea di massima, per me, tale processo di dis-identificazione avviene grazie a un costante lavoro di spassionata auto-osservazione. Questo, in ultima analisi, può radicalizzare la definizione delle nostre priorità aiutandoci a discriminare tra forma ed essenza, tra ciò che è superfluo e sacri-ficabile (da rendere sacro) e ciò che è fondante e imprescindibile.
Per “forma” non intendo semplicemente il corpo e la sua cura materiale, quanto tutta quella costellazione di convinzioni, emozioni e reazioni con cui normalmente, ma direi quasi automaticamente, ci identifichiamo e ci raccontiamo al mondo. Per “essenza” intendo invece quel centro interiore di pace, sacro e inviolabile, che trascende i limiti delle nostre opinioni, percezioni e azioni, allargandosi al contatto con l’altro e con l’Oltre.
L’incontro tra queste due dimensioni nella nostra coscienza viene percepito spesso come un grosso attrito, sebbene anche in questo caso ciò che sto sperimentando non ha niente a che fare con la privazione o l’annientamento della mia individualità. Si tratta piuttosto della messa in discussione radicale, e talvolta dolorosa, di tutte quelle credenze e tendenze che la limitano e la vincolano ma alle quali ormai si è molto affidata e affezionata.
Il fine ultimo del distacco da sé non andrebbe dunque visto come un nichilistico disgregrarsi nel nulla; è anzi un liberarsi dalle proprie catene per volare in uno Spazio e in una Presenza molto più ampi, appaganti e amorevoli dei nostri angusti confini personali.
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