martedì 24 giugno 2014

LA MIA MUSICOTERAPIA 2 - 14 On Fire

All I hear is doom and gloom - Tutto ciò che sento è deprimente
But when those drums go boom boom boom  - ma quando i tamburi fanno boom boom boom
Through the night your face I see - attraverso la notte vedo il tuo viso
Baby take a chance  - Baby, provaci
Baby won't you dance with me - Baby, perché non balli con me? 
(Jagger-Richards)


Nel gennaio del ’93 invece partì il ‘trip’ Rolling Stones. Razzolando tra i vari ‘specials’ sui Beatles, m’imbattei in un video con un Jagger poco più che ventenne e me ne innamorai perdutamente.
Laddove i Beatles rispondevano perfettamente alla mia anima mistica e lirica, gli Stones condensavano quella carica di energia, ironia e leggerezza che mi dava la forza di affrontare il liceo, i ragazzi che a quel tempo mi tiravano le pietre, il paese che reputavo ostile e tutte le turbe psichiche adolescenziali che allietavano la mia indecorosa esistenza.


A fine ’93 The Windows andarono in blocco in pellegrinaggio al concerto di Paul McCartney al Palasport di Firenze. In un mitico momento di silenzio, cinque ragazzine urlarono con tutti i decibel delle loro vocette sgraziate ‘Windows!’. Il rantolo arrivò all’orecchio di un perplesso McCartney che rispose ‘Ok, open’.
Solo 21 anni dopo, però, ho completato il tributo ai miei guru, partecipando eroicamente al concerto degli Stones al Circo Massimo di Roma. Giornata massacrante, ho esplorato i limiti della mia sopportazione fisica e nervosa. Allucinazioni, disidratazione, insolazione, cali di pressione e crisi di agorafobia ma non appena gli Stones entrano in scena c’è l’ ‘effetto Lourdes’:  passa tutto. Mi sono trovata a urlare come un’ossessa e a piangere come una bambina. Sui potenti accordi di Jumping Jack Flash è partita un’onda di energia che sollevava e catapultava in aria, mentre alla fine, su Satisfaction, la terra ha letteralmente tremato sotto il battere dei piedi di 71.000 persone.



In conclusione, Beatles e Rolling Stones hanno veramente dato una direzione alle mie energie rendendomi dapprima un’adolescente e poi comunque un’ adulta,  diversa. Sui loro testi ho pianto, riso, meditato. Sulle loro note ho scritto, cantato, danzato. Nel piccolo, la mia storia s’intreccia profondamente con la loro; le mie canzoni e la mia voce rispondono tutt’ora a quell’imprinting di base. Non a caso le mie amiche cantanti mi dicono che ‘canto in una maniera strana’. Può effettivamente capitare, quando si prende come modello Mick Jagger piuttosto che Elisa o Aretha Franklin.

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Parrucca della linea Luigi14 e foto di Luca Ciolli

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LA MIA MUSICOTERAPIA 1 - Nowhere (wo)Man

He's a real nowhere man - E’ un vero Uomo Inesistente
Sitting in his Nowhere Land, - Seduto nella sua Terra Inesistente
Making all his nowhere plans - A fare i suoi progetti inesistenti
for nobody - per nessuno. 
(Lennon - McCartney)


Se può sembrare eccessivo dire che i Beatles e i Rolling Stones mi hanno salvato la vita, posso  tuttavia affermare che, se non altro, l’hanno ispirata parecchio.
Ricordo ancora quel pomeriggio del gennaio 1992: ero a casa malata per qualcosa che sembrava morbillo e, oppressa dalla noia, mi misi a frugare tra le cassette di mio padre. Beccai una raccolta dei Beatles, quella classica rossa ’62-‘66 con loro che si affacciano da un terrazzo. Certo, da piccola avevo visto il librone delle canzoni dei Beatles gironzolare per la casa e avevo sentito spesso mio padre suonare e canticchiare ‘Michelle’. 
Quel pomeriggio, non appena attaccarono le note, anzi i cori a tre voci di ‘Nowhere Man’, ebbi una sorta di rivelazione, una folgorazione mistica in piena regola. Fu come sentire i cori angelici, accompagnati subito dalla seguente visione: io e altre amiche (ancora da definirsi) che cantavamo in una all-girls band. La mia visione ovviamente ci presentava tutte bellissime e vestite uguali, alla Beatles appunto. 


Avevo solo 14 anni ma sapevo che quello era il mio obiettivo, da raggiungere ad ogni costo. Naturalmente obbligai la mia migliore amica Arianna a supportarmi (e sopportarmi) in tale viaggio e, insieme, dopo vari tentativi di formazione, fondammo ‘The Windows’, la prima band di ragazze quindicenni del mio paese e forse dell’intera zona.
Eravamo in cinque, nessuna di noi sapeva suonare o cantare ma questi erano dettagli secondari.  Del resto, quando una cosa deve essere - deve essere. Senza un soldo, trovammo amici che ci prestarono i soldi per comprare gli strumenti, le paghette furono devolute all’acquisto degli amplificatori, dai salotti di casa passammo a una stanza per le prove di tutto rispetto dataci ‘a gratis’ dal parroco. Quando per la prima volta abbozzammo ‘Let It Be’ con tanto di cori a doppia voce mi sciolsi in lacrime di gioia.

## Segue nel post successivo


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martedì 17 giugno 2014

CHILDREN OF THE REVOLUTION 3 - La madre (e il padre ) ‘sufficientemente buoni’.

La creatività consiste nel mantenere, nel corso della vita, qualcosa che appartiene all'esperienza infantile, la capacità di creare il mondo. (Donald Winnicott )


Da qui l’importanza di un sereno lavoro di autoconoscenza da parte dell’adulto, che ri-armonizzando per quanto possibile se stesso, ri-armonizza gradualmente anche l’ambiente che lo circonda. Poi, ripeto, basta essere ‘sufficienti’ - nessuno chiede i massimi voti nella scuola della vita. La ‘madre o il padre perfetti’ o l’insegnante perfetto’ sono figure irrealistiche e addirittura deleterie nella loro opinabilità e fissità concettuale.
Se qualcuno avesse bisogno di un riferimento teorico, può leggersi Donald Winnicott e riflettere un po’ sull’immagine che lui ha individuato della ‘madre sufficientemente buona’.  E’ una madre che conserva una sua autenticità e che non nasconde a se stessa eventuali bisogni o sentimenti negativi - tuttavia ha anche sviluppato la basilare serenità d’animo per non farne troppo carico al figlio. La relazione adulto-bambino può diventare quindi dinamica, creativa e non necessariamente modellata su esperienze altrui o su teorie preconfezionate.


Per la mia esperienza, ogni vera relazione, anche quella più apparentemente strutturata e gerarchica come madre-figlio, insegnante -allievo ha un valore reale se porta crescita e apprendimento a entrambe le componenti. Lasciamoci interrogare e ‘positivamente’ inquietare dalle domande, dai disagi o dalle richieste dei giovani e dei bambini. Ascoltiamole, innanzitutto : il più delle volte si tratta di ascoltare noi stessi, le nostre voci dimenticate. 
Molti affermano che saranno i nostri bambini che ci salveranno e a parer mio lo stanno già facendo,  portando la vera rivoluzione - quella delle coscienze. 

##Vedi i due post precedenti


Parrucca della linea Luigi14 e foto di Chiara Benelli 

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CHILDREN OF THE REVOLUTION 2 - Educarsi ad educare

But you won’t fool the children of the revolution - Ma non potrai ingannare i figli della rivoluzione
No you won’t fool the children of the revolution - No, non farai fessi i figli della rivoluzione (T.Rex)


Come ha ben descritto un filosofo attuale: ‘Generalmente, dal punto di vista psicologico, elargiamo ai bambini e ai giovani le nostre limitazioni, le nostre prigioni mentali, le nostre incompiutezze e le nostre ansie”. D’altronde è inevitabile: si trasmette  ciò che siamo, oltre a ciò diciamo. 
I bambini, poi, sono particolarmente sensibili all’incoerenza, per cui anche se il messaggio verbale è irreprensibile - il comportamento o l’emozione che lo accompagnano fanno la differenza. Di fronte all’incoerenza o incongruenza, come minimo il bambino entra in confusione. Dunque, tanto per tornare alla saggezza popolare ’s’insegna con l’esempio’ - e aggiungerei s’insegna con ciò che siamo -  come persone, come totalità del nostro essere. 


E questo è in effetti il punto dolente: sappiamo veramente ciò che siamo? Abbiamo consapevolezza delle emozioni e dei pensieri che ci muovono, dei moventi dei nostri discorsi o comportamenti? Aldilà dei pistolotti psicopedagogici, che cosa trasmettiamo prevalentemente intorno a noi, nel nostro ambiente familiare? Armonia, una certa serenità e benessere o insoddisfazione, stress e rabbia? Non parlo ovviamente dell’episodio singolo di frustrazione o irritabilità, parlo del generale clima emotivo che ci contraddistingue.

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CHILDREN OF THE REVOLUTION 1 - Noi e i nostri bambini

“Quando andai a scuola, mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi “felice”. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita.” John Lennon


Dalla mia esperienza di insegnamento e di musicoterapia e dal confronto con amiche mamme o maestre mi sono accorta di alcuni motivi ricorrenti riguardo ai bambini di oggi:
  • Sono ‘iperattivi’ e/o bisognosi di molte attenzioni
  • Sono più vispi e intelligenti di quello che ci si aspetta: le loro domande o commenti pongono l’adulto con le spalle al museo facendolo o incacchiare e/o riflettere.
Sempre più spesso l’esuberante energia del bambino mette a dura prova il genitore e l’insegnante odierno, generalmente sotto stress,  mentre la sfida dell’educazione svela dinamiche non sempre rintracciabili nel manuale del ‘buon pedagogo’.


A seconda delle varie situazioni, purtroppo non sempre idilliache, l’enorme vitalità non facilmente canalizzabile o lo scontro/incontro con l’ambiente prendono la forma del ‘problema’ o del ‘caso certificato’. Non so se gli educatori delle generazioni precedenti si confrontavano con una tale frequenza e varietà di disagi infantili: dislessia, disturbi di apprendimento, mutismo elettivo, tendenze autistiche, iperattività.
Talvolta la difficoltà del bambino non è che lo specchio e la manifestazione del disagio inespresso dell’adulto. Ricalca un po’ il rapporto che si ha tra autoconsapevolezza e sintomo fisico: tanto più qualcosa (conflitto, incongruenza, disarmonia) è inconsapevole tanto più sarà manifesta nel corpo.

## Prosegue nei due post successivi


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domenica 8 giugno 2014

LASCIAR ANDARE 2 - Tell me what it takes to let you go

“Tell me what it takes to let you go - Dimmi cosa ci vuole per lasciarti andare
Tell me how the pain's supposed to go - Dimmi come dovrebbe andarsene il dolore” Aerosmith


Nella mia esperienza, il ‘lasciar andare ‘ di solito passa attraverso il sentimento dell’accettazione. Anche questo non è immediato: si costruisce con un graduale far spazio e far luce dentro di sé rispetto a ciò che ci sembra inammissibile, incomprensibile, inaccettabile.
Mi provo quindi ad accogliere con compassione la mia impotenza riguardo una certa vicenda e accolgo anche il fatto che, sul pianeta Terra, molto può restare irrisolto.
La spinta a ‘voler per forza rimettere a posto tutto’, per quanto lodevole, mal si sposa con la dimensione umana. Tale desiderio spesso e volentieri è destinato alla frustrazione. Presto o tardi ci si scontra con meccanismi così biechi quanto assurdi che, nonostante tutta la nostra buona volontà, ci rimandano a noi stessi con le pive nel sacco, un po’ sconfitti e sconfortati.


Questo però non ci affligga a tal punto da rinunciare ad agire per creare una realtà più decente. Il ‘lasciar andare’ significa lasciar essere il mondo così com’è, farci interiormente pace e allo stesso tempo impegnarsi per trasformarlo - partendo in primo luogo da noi stessi. Tanto per ribadire un concetto taoista, la lotta e l’opposizione rabbiosa rinforzano proprio ciò che si sta combattendo, sia essa una forza psichica che una situazione esterna.
Fortunatamente, nella mia storia personale e anche in quella di persone a me vicine, ho sperimentato dinamiche diverse. Quando seppur a fatica ho accettato -e non solo con la testa ma con tutto il corpo e le emozioni- qualcosa che mi sembrava assurdo o ingiusto, è capitato che, quasi per magia, questo qualcosa ha lasciato andare me.

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LASCIAR ANDARE 1 - Lâcher prise

“Poi, dopo un cospicuo e intenso lavoro interiore che tosto si è manifestato in diarrea, le cose sono andate molto meglio rispetto alle mie fosche previsioni” (Sara Bini)


Ogni tanto con una mia cara amica francese ironizziamo sul fatidico ‘lâcher prise/lasciare la presa’  che sembra diventato il tormentone spirituale dell’odierna New Age.
Che si tratti dell’inaspettato foruncolo mattutino o di un imminente tsunami, stiamo certi che qualcuno ci esorterà più o meno amabilmente a ‘lasciar andare’. Senza poi parlare di chi, in contesti equivoci e per scopi non esattamente altruistici, ci inviterà con serafica insistenza a ‘lasciarci andare’.
Il ‘mollar la presa’, ovvero il rimettersi all’intrinseca, per quanto imperscrutabile, Sapienza della Vita  abbandonando l’illusione del controllo è indubbiamente una qualità da tenere di conto. Fa da antidoto alla nostra società saturata dalla logica del ‘fare’,’manipolare’, ‘pressare’ o ‘lottare’.


D’altro canto, è esperienza abbastanza condivisa quanto sia paradossale comandare a se stessi o agli altri di lasciar andare qualcosa o qualcuno. E’ un po’ come la famosa ingiunzione ‘Sii spontaneo!’ oppure ‘Devi rilassarti!’.
‘Lasciar andare’ dunque, si rivela spesso un processo lento e laborioso. Entrano in gioco forze discretamente forti che trovano origine in bisogni o attaccamenti ben radicati e che sfuggono all’imperativo categorico della nostra volontà cosciente.
Intanto però, porsi nell’intenzione sincera di liberarsi da un condizionamento o da un’ossessione  dolorosa è già un passo fondamentale. Dico ‘sincera’ poiché l’ambivalenza  può essere potente : da un lato dichiariamo solennemente di volere la pace e la libertà interiori, dall’altro vogliamo ancora fortemente l’oggetto da cui dipendiamo.


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