lunedì 30 marzo 2015

UN EPOS AL FEMMINILE: ‘I figli di Lilith’ di Isolde Kurz

“Chiedo venia, sei capitato male. Non sono una donna di facili ormoni.” (Sara Bini)

Questo lavoro, che è possibile trovare al link "I figli di Lilith. Un tributo a Isolde Kurz e al Divino in ogni donna", si propone di portare un po’ di luce su Isolde Kurz, autrice tedesca vissuta a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, e sulla sua produzione letteraria. Conosciuta soprattutto per le sue ‘Novelle Fiorentine’, trascorse gran parte della sua vita a Firenze e a Forte dei Marmi, facendo dell’Italia e della Toscana la sua patria ideale. Troppo moderata per la critica femminista, troppo spirituale per una civiltà materialista e troppo ‘classica’ per un secolo di avanguardie, Isolde è stata prematuramente messa nel cassetto dalla critica letteraria tedesca e, di conseguenza, da quella internazionale.
Molte delle sue opere sono dunque rimaste non tradotte e ovviamente non commentate. Io ho deciso di tradurre e analizzare un suo epos del 1908, “I figli di Lilith”. Sono circa una sessantina di pagine, è  scritto in rime baciate e venne pubblicato con caratteri goticheggianti. Nella traduzione ho tentato di mantenere la musicalità dell’originale tramite giochi di allitterazioni e assonanze. 

Qui Isolde opera un’interessante rivisitazione del mito di ‘Lilith’, il lato oscuro del femminile, contenitore di tutti quegli aspetti della donna sommersi e repressi dalla cultura patriarcale. Dalla tradizione recupera il tema di Lilith come prima compagna di Adamo ma, invece che strega ribelle, ne fa una sorta di intermediario tra la Terra e il Cielo, una ‘donna angelo’ che tuttavia mantiene intatta tutta la sensualità e l’eros di una donna umana. Sarà Eva, la donna puramente ‘materia’ che, facendo leva sull’istinto di potere di Adamo, stravolgerà il Piano Divino confinando il compagno alla volgarità e ai bassi istinti. Tuttavia Lilith e Adamo, nel loro breve idillio, hanno concepito un figlio, che tornerà sulla Terra devastata dalla stirpe di Eva in successive incarnazioni: artista, condottiero, filosofo…e in ogni caso guida e luce per l’umanità.



Credo che sia giunto il momento storico adatto per la ricezione di questo poema: passato il femminismo estremo e giunti a un’epoca indefinibile dal punto di vista della sperimentazione letteraria, il messaggio di Isolde sull’armonia tra i sessi e una rinnovata visione della donna risulta quantomai attuale, essenziale e pieno di speranza.


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domenica 22 marzo 2015

NO TIME FOR KARMA - I nuovi Che Guevara

‘No time for karma - Non c’è più tempo per il karma’ (Paxton Robey)


Forse mai come oggi l’umanità è stata sottoposta a una serie così serrata di sconvolgimenti su tutti i fronti: climatici, politici, economici, sociali. Ciò sembra testimoniare l’affacciarsi di un deciso cambiamento di paradigma, una vera e propria rivoluzione percettiva e mentale.
Tale spinta impone all’uomo di rinnovarsi e di prendere velocemente una posizione: o il vecchio o il nuovo, o a favore della ben nota visione materialista/egoistica o a sostegno di valori comunitari come l’innocuità, la fratellanza, il servizio all’umanità. Anche chi non percepisce la portata ‘interiore-energetica’ di questa accelerazione sente comunque un vago senso di pressione che lo spinge a cercare di raggiungere i traguardi biologici/sociali con una certa impellenza. 


Per chi invece è capace di percepire la rivoluzione di coscienza in atto - i nuovi Che Guevara dell’umanità - ‘non c’è tempo da perdere’ significa dirigersi verso l’essenza delle cose e non più verso l’apparenza. Comincia così un naturale processo di ‘scrematura’ rispetto a ciò che è divenuto futile, vecchio e ‘superato’ nelle nostre vite: relazioni sentimentali stagnanti o disfunzionali, lavori mortiferi, amicizie di comodo. Un nuovo modo di pensare e di essere si profila all’orizzonte.
Voglio l’amore? Piuttosto che razzolare sui siti d’incontri o messaggiare allo sfinimento ogni potenziale ‘preda’, m’impegno ad ‘essere amore’ e a ‘dare amore’ incondizionatamente. Comincio a notare -e quindi ringraziare- le mille forme in cui l’amore è già presente nella mia vita, non fosse altro il cibo che ogni giorno mi sostiene o la casa che mi protegge dal freddo.  Non sarebbe nemmeno male ringraziare quegli amici comprensivi e fedeli che continuamente molliamo e dimentichiamo a ogni nuovo fidanzato/a. 


Voglio un lavoro stabile? Inizio a lavorare su di me, unico lavoro che non soffre di precariato, per quanto ne so. E’ sempre disponibile, sempre presente, apre il cuore e la mente oltre alle porte di una serena abbondanza e fiducia nell’esistenza.
Voglio un figlio? Posso iniziare con l’amare anche i figli altrui o coloro che non hanno genitori.  Posso cominciare a ‘curare’ e dare attenzione alla Vita ,  diventando così madre/padre dell’umanità. Posso anche dedicarmi alla creazione in altre forme: dal fare una torta che rallegra i palati allo scrivere una poesia che fa vibrare i cuori.
“Non c’è tempo da perdere” - e , appena mi rilasso portando attenzione, grazia e presenza in ogni istante della mia vita - mi accorgo che, in realtà, non c’è proprio  ‘il tempo’.

#Vedi post precedente No Time To Lose


Ultima foto di Massimo Pistolesi
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NO TIME TO LOSE - Gli obiettivi di vita

“Il ruolo più difficile è recitare se stessi, permettersi di essere se stessi, togliersi di dosso la maschera.” (Vadim Zeland)


“A questa età, non abbiamo tempo da perdere”. Ecco una frase che sento ripetere spesso dai miei coetanei, uomini e donne che si avviano alla quarantina, benché ci siano pure ‘le avanguardie’ che si pongono la questione già verso i trenta.
Man mano che il tempo passa, molti si mettono a fare un bilancio degli obiettivi raggiunti, di quelli mancati e di quelli ancora possibili da realizzare: lavoro, casa, matrimonio/relazione stabile, figli. Nelle donne - eccetto me che però non faccio testo - pare si attivi il cosiddetto ‘orologio biologico’ , ossia la necessità di diventare madri, cosa che per loro, a differenza degli uomini, ha ‘date di scadenza’ imprescindibili. Ho sentito però anche uomini sui quaranta parlare di ‘fallimento biologico’ perché, essendo figli unici e senza una compagna, si rammaricano di non mandare avanti ‘la stirpe’, il cognome. Tuttavia, in entrambi i sessi, raggiunta una certa maturità psicologica (che non è da darsi per scontata, anzi!) sorge il desiderio di una relazione di coppia stabile che può porre le fondamenta per una nuova famiglia.


Del resto la scienza ha ampiamente comprovato che la componente istintiva nell’essere umano, rispetto agli altri animali, gioca un ruolo decisamente marginale. In compenso, l’uomo ha una forte componente emotiva-mentale, per cui può amplificare la parte istintiva fino a giungere a patologie, ossessioni e perversioni. Tutto questo per dire che la mente ci scappa di mano tanto quanto ovaie e testicoli, anzi, forse di più. Generalmente e fortunatamente, comunque, alla semplice pulsione procreativa si aggiunge il desiderio di una sana realizzazione sentimentale: la ricerca di un partner adeguato a tutta la nostra personalità, non solo alla sfera biologica.
Fin qui, ho parlato delle tappe evolutive standard di un essere umano, secondo la natura e secondo la società. Sappiamo bene che c’è anche chi, in ogni epoca e per svariate ragioni,  si è sottratto a tali ‘scansioni’ e ha fatto altre scelte. Senza entrare in merito a ciò, mi interessa sottolineare come questa epoca, quella in cui stiamo vivendo, sia particolarmente ricca di possibilità e allo stesso tempo di pressioni che rendono ancor più stringente il senso di ‘accelerazione’ del tempo, personale e collettivo. 


# vedi post successivo No Time For Karma


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domenica 8 marzo 2015

FORGIVE AND FORGET - Perdona e dimentica

Time is on my side - Il tempo è dalla  mia parte (Mick Jagger)

La forma di dimenticanza che invece vorrei ‘elogiare’ è quella che facilita una sana distanza dalla propria storia e dalle beghe personali. Ha una qualità di perdono e leggerezza, invita a muoverci con una certa agilità lungo le strade della vita. Come rispose una volta Massimo Rodolfi a chi si lamentava ‘che le sue valige erano pesanti’: “Ragazza, nel regno dei Cieli si entra al massimo con un beauty-case”.


Beninteso, occorre prima averla vissuta, sentita e anche sofferta in pienezza la propria storia per poi poterla davvero lasciare andare, specie nei suoi momenti più dolorosi. Tuttavia si nota un certo affezionamento, anche un po’ perverso, ai nostri problemi, alla nostra sfiga, alle nostre sconfitte, alle nostre paure. 
Non di rado, tutti questi ricordi infelici - talvolta anche nostalgicamente felici - sono una zavorra che ci impedisce di andare realmente avanti. Zavorra anche nel senso più letterale del termine, perché i pesi interiori hanno la brutta tendenza a tradursi in peso corporeo o incapacità di dimagrire. Consideriamo un po’ quanta gente, quante situazioni, quanta roba portiamo mentalmente costantemente con noi.


Tutto ciò solo per parlare del livello emotivo, per cui voglio spezzare una lancia anche a favore della dimenticanza sul piano mentale, quello dei concetti, delle nozioni. Quasi tutti avremo sentito la favola zen del filosofo occidentale che va dal Maestro zen per imparare questa disciplina. Nel prendere il tè, quest’ultimo continua a riempire la tazza benché già piena. Alla protesta del filosofo il maestro risponde che occorre prima svuotarsi di quanto già si pensa di sapere per apprendere qualcosa di nuovo.
Dunque è necessaria una serena ‘dimenticanza’ del conosciuto e delle nostre sacre auctoritates per potersi accostare alla vera conoscenza - alla Sophìa - con freschezza, simpatia e stupore. Elogio perciò l’ignoranza nel senso socratico del termine, ossia il saper lasciare in noi uno spazio aperto al ‘non so’, all’Altro, alla Vita. Probabilmente solo così è possibile superare la noia, la coazione a ripetere, il senso di pesantezza, torpore e impasse che spesso caratterizzano noi, umanità contemporanea.



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FORGETFULNESS - L’ elogio della Dimenticanza

“I can remember much forgetfulness - Posso ricordarmi tanta dimenticanza” (Hart Crane)


Questo post sembrerà un’apologia della mia notoria scarsa memoria, della mia incapacità di analisi e forse un tentativo di camuffare e spacciare per ‘evolutivo’ il mio Alzheimer incipiente. Ma anche sì. 
La dimenticanza può avere varie valenze, da valutarsi sulla base dei frutti che la suddetta dimenticanza produce e porta con sé.  Il tipo di dimenticanza che considero un po’ più ‘involutivo’ -ma che comunque ha una sua funzione- può derivare da due fattori, opposti in quanto causa ma identici nell’effetto.
Uno di essi è il freudiano processo di rimozione, nozione ormai ampiamente di dominio pubblico. Quando un evento ha una portata emotiva eccessiva per l’organismo che ne fa esperienza, si attiva un meccanismo di difesa che sposta l’evento ‘in cantina’ al fine di non disintegrare l’io della persona. Dunque un processo sacrosanto, anche se ovviamente il mostro in cantina avrà poi le sue conseguenze. 


Quella che invece mi sembra davvero poco evolutiva invece è la tendenza generalizzata a rimuovere le emozioni, anche quelle che, con un piccolo sforzo, saremmo ben capaci di metabolizzare - anzi, ci farebbero perfino maturare. Accadimenti relativamente ‘innocui’ come la fine di una storia sentimentale, un improvviso innamoramento o l’incontro con qualcosa di nuovo vengono talvolta percepiti come ‘disturbanti’ e quindi accantonati sotto la soglia della nostra coscienza. Ciò produce una società di bradipi affettivi, incapaci di affrontare il minimo disagio e che per qualsiasi interrogativo esistenziale ricorrono allo psicofarmaco, allo psico-alcool o allo psiconano. 


L’altro tipo di dimenticanza è più strutturale e si manifesta quando, per svariati motivi, la persona non ha sviluppato un corpo emotivo decente. La scienza ha ampiamente dimostrato che la memoria è collegata alle emozioni, per cui chi non le prova,  dimentica facilmente e trattiene poco. Anche questo non è proprio un indice di benessere per la persona in questione, nonostante possa perfino vantarsi di una grande stabilità emotiva.
Su questa linea aggiungo che sarebbe auspicabile cercare di ‘chiudere i cerchi’, ossia non lasciare persone e situazioni ‘sospese’ in eterno e anzi, chiedere scusa o offrire chiarimenti laddove questo è ancora possibile. E’ un atto di amore verso se stessi, oltre che verso la relazione o la persona ‘incompiuta’. 

#Continua nel post successivo Forgive and forget - Perdona e dimentica


Foto di Chiara Benelli e parrucche Luigi14
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domenica 1 marzo 2015

UN’ARTE DELL’ANIMA

“Quindi abilità artistica non significa perfezione artistica. Essa è il mezzo o il riflesso di una fase dell’evoluzione artistica, la cui perfezione non è reperibile nella forma ma deve irradiarsi dall’anima.” (Bruce Lee)


Dante, Shakespeare, Michelangelo, Goethe, Beethoven non sono immensi perché hanno scritto o fatto qualcosa d’immenso….hanno scritto e fatto cose grandi perché loro stessi erano grandi. Ribaltiamo la prospettiva: il fare deriva dall’essere e non viceversa. I grandi uomini sono tali perché pur nel loro limite umano, hanno tentato di trascenderlo e farsi canali di un qualcosa di eterno, potente e universale capace di scioglierci in lacrime di gioia al suo cospetto.


L’artista assetato di approvazione e riconoscimento riuscirà anche a sviluppare indubitabili qualità tecniche ma i suoi contenuti rispecchieranno il suo essere - mediocre. In questo caso forse, meglio un artista meno erudito o raffinato che  però nella sua semplicità e genuinità sa far vibrare i cuori, piuttosto che trastullare a vuoto le menti. Tale tipologia di artista viene comunemente etichettata come ‘naif’ e screditata dalla critica, sempre pronta a lasciarsi  abbindolare dai fuochi d’artificio dei sofismi e della retorica. 
A seconda dell’evoluzione dei tempi, il grande artista dunque potrebbe anche non essere riconosciuto dai suoi contemporanei. Ciò lo tocca solo in parte, perché l’arte è per lui un’esigenza interiore piuttosto che una vetrina per i suoi bisogni insoddisfatti. L’artista quindi ‘sta sul pezzo’:  lavora e nel lavorare si trasforma, apprende e nell’apprendistato diventa un uomo migliore. La sua  stessa vita diventa opera d'arte per eccellenza. Concludo citando uno dei miei Maestri, Bruce Lee “L’arte non è mai decorazione o abbellimento ma opera di illuminazione. Il fine ultimo dell’artista è l’apprendimento dell’Arte di vivere attraverso attività quotidiana.”


#vedi post precedente  La (vana)gloria


Foto di Chiara Benelli e parrucche Luigi14
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LA (VANA)GLORIA - Non è il mondan romore …

……..altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato. (Dante)


La mie esperienze professionali, i miei studi e soprattutto le mie passioni mi hanno spesso portata a contatto con il mondo dell’arte e della cultura. Sono stata in circoli di poesia, club letterari, ambienti accademici, associazioni culturali e ognuno di questi ambienti mi ha arricchita e aiutata a comprender-mi, pur (o forse soprattutto) nella delusione talvolta incontrata.
Tuttavia, per mia esperienza, la vera arte, la vera cultura, raramente deludono. Leggiamo un passo di Dante, ascoltiamo una fuga di Bach, guardiamo una statua di Michelangelo o la Cupola del Brunelleschi e, se siamo degni dell’appellativo di esseri umani, non si può restare indifferenti. Ci accorgiamo che in noi inizia un movimento, una trasformazione, una sorta di alchimia. Qualcosa di vecchio e pesante si stacca dal nostro essere e un bagliore interiore folgora per un attimo la nostra coscienza. Sperimentiamo una scintilla di quel fuoco che nell’artista generò l’opera d’arte.


Quanto, di quello che attualmente vediamo, leggiamo o ascoltiamo, suscita in noi una risonanza simile? Quali cose riescono ad elevare anche solo per un istante la nostra mente via dal fango dei problemi quotidiani, dalla routine, dalla noia, dall’apatia o dal pensiero stereotipato?
Molti letterati o artisti di oggi rincorrono spasmodicamente il successo e sperano di scrivere il nuovo romanzo o i nuovi versi che entreranno nella storia. Frantumano i vecchi modelli o li imitano ma anche se li imitano è una vuota ripetizione formale, un esercizio di stile. Quasi  nessuno imita o si pone il problema di imitare lo stato interiore del grande artista - che è poi la causa prima dell’opera d’arte.

#continua nel post successivo Un'Arte dell'Anima


Foto di Chiara Benelli e parrucche Luigi14
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