“Poi, dopo un cospicuo e intenso lavoro interiore che tosto si è manifestato in diarrea, le cose sono andate molto meglio rispetto alle mie fosche previsioni” (Sara Bini)
Ogni tanto con una mia cara amica francese ironizziamo sul fatidico ‘lâcher prise/lasciare la presa’ che sembra diventato il tormentone spirituale dell’odierna New Age.
Che si tratti dell’inaspettato foruncolo mattutino o di un imminente tsunami, stiamo certi che qualcuno ci esorterà più o meno amabilmente a ‘lasciar andare’. Senza poi parlare di chi, in contesti equivoci e per scopi non esattamente altruistici, ci inviterà con serafica insistenza a ‘lasciarci andare’.
Il ‘mollar la presa’, ovvero il rimettersi all’intrinseca, per quanto imperscrutabile, Sapienza della Vita abbandonando l’illusione del controllo è indubbiamente una qualità da tenere di conto. Fa da antidoto alla nostra società saturata dalla logica del ‘fare’,’manipolare’, ‘pressare’ o ‘lottare’.
D’altro canto, è esperienza abbastanza condivisa quanto sia paradossale comandare a se stessi o agli altri di lasciar andare qualcosa o qualcuno. E’ un po’ come la famosa ingiunzione ‘Sii spontaneo!’ oppure ‘Devi rilassarti!’.
‘Lasciar andare’ dunque, si rivela spesso un processo lento e laborioso. Entrano in gioco forze discretamente forti che trovano origine in bisogni o attaccamenti ben radicati e che sfuggono all’imperativo categorico della nostra volontà cosciente.
Intanto però, porsi nell’intenzione sincera di liberarsi da un condizionamento o da un’ossessione dolorosa è già un passo fondamentale. Dico ‘sincera’ poiché l’ambivalenza può essere potente : da un lato dichiariamo solennemente di volere la pace e la libertà interiori, dall’altro vogliamo ancora fortemente l’oggetto da cui dipendiamo.
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Parrucca della linea Luigi14 e foto di Chiara Benelli
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