“…Non è l'amore a far male, ma chi non lo sa fare
Ed io non so fare niente, diceva mio padre
Ma quante volte abbiam paura di essere felici?
Convinti di non meritare quel che ci fa bene
Ed io sorrido e faccio finta di niente
Cado così tanto che ci rido anch'io
E voi ridete, ma cadrete come me
A differenza che
Io sono Buster Keaton”(Gio Evan)
Versione inglese al link: I'll be happy when...
Quante volte ho fatto o sentito discorsi del tipo “Mi sentirò in pace solo quando avrò finito gli esami”, “Sarò libero e contento solo quando andrò in pensione” o ancora “Farò una vita mia appena i figli saranno grandi”, “Se solo avessi un partner mi sentirei realizzato/a”. È l’eterna illusione della felicità ‘a condizione che’. In realtà, il problema non sono i figli, il partner, l’università o il lavoro, bensì noi stessi che, per varie ragioni, non riusciamo ad aderire alla vita presente e attribuiamo la causa del nostro disagio a impedimenti esterni.
Tentiamo perciò di convincerci, e convincere gli altri, che ‘tutto andrà meglio’ quando troveremo un impiego decente, quando ci fidanzeremo, quando passerà la pande-tua o quando toglieranno il green ass. Il punto è che, finché crediamo che la nostra felicità o il nostro senso di libertà siano dettati da condizioni esterne, siamo semplicemente degli schiavi e quel che è peggio, siamo schiavi di noi stessi.
La presa di coscienza avviene invece quando ci rendiamo conto che, per quanto i figli possano crescere o gli esami finire o la pensione arrivare, troveremo sempre altri ‘ostacoli’ o scadenze impellenti pur di rimandare il confronto con la nostra interiorità e con i meccanismi che sabotano l’autentica felicità. Tutto il resto è un teatrino per distrarsi dal vero problema, ossia uno stile di pensiero ossessivo, i conflitti interiori non risolti, le cariche emotive sedate o differite. Nella migliore delle ipotesi, distrazioni e dilazioni sono funzionali ad evitare la definitiva presa in carico della nostra vita, vale a dire evitare di fare scelte e compiere le azioni conseguenti.
Non è facile assumersi la responsabilità per ciò che sentiamo, pensiamo e facciamo o per le incongruenze che continuamente mettiamo in atto nella nostra esistenza. La verità va affrontata con coraggio e a piccole dosi, meglio se attraverso uno specchio, come ci insegna il mito di Perseo e Medusa. Lo specchio possono essere i nostri mentori o comunque le persone che amiamo e stanno compiendo un simile percorso esistenziale: un sentiero che porta dall’irrealtà delle illusioni e degli auto-inganni alla realtà della nostra essenza indomita e immortale.