Da un mio compito d'italiano del dicembre 1995, quarta liceo classico a indirizzo linguistico, di cui proprio oggi ho riesumato la brutta copia in uno scatolone tra altri documenti.
Traccia:
“E’ certo una gran cosa che tutti
sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fossimo certi avere sempre a
vivere…” (dai Ricordi di F.Guicciardini). “il nostro inconscio non crede alla
possibilità della propria morte e si considera immortale..” (S.Freud). che
significa vivere con la difficile consapevolezza di essere mortali?”
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove
andiamo?
In queste domande, che Gaguin
scrisse su uno dei suoi dipinti, si racchiude tutto il dramma dell’incomprensibilità
dell’esistenza umana. Come dice il Guicciardini nei suoi ‘Ricordi’ “tutti
viviamo come se fossimo certi avere sempre a vivere…” e in effetti è proprio
così: benché la morte sia, alla fine, la nostra unica certezza, il fatto di non
sapere quando essa accadrà ci porta a considerare la nostra esistenza immortale.
Di conseguenza facciamo progetti, programmiamo i nostri giorni e pianifichiamo
il futuro come se le nostre potenzialità fossero illimitate ed eterne. Ma
quando la morte si presenta, magari colpendo una persona a noi vicina, allora
siamo costretti a metterci in discussione e a porci domande che non hanno
risposte razionali perché la fonte del problema è la razionalità stessa.
Purtroppo proprio di recente mi
sono trovata in questa situazione, poiché due mesi fa è morto un caro amico di
famiglia, Vladimir. I medici gli avevano diagnosticato un tumore allo stomaco e
gli avevano dato due-tre mesi al massimo di vita. Quando è venuto a conoscenza di questo ‘verdetto’,
Vladimir è morto. Voglio dire, ha ‘vissuto’ ancora per un mese ma la
consapevolezza che la fine ormai incombeva su di lui l’ha annientato lentamente
giorno per giorno, uccidendo ciò che in un uomo è di fondamentale importanza:
la speranza.
Nietzsche in un suo scritto
afferma “Se fissi a lungo lo sguardo nell’abisso, anche l’abisso fissa lo
sguardo in te”; ecco, negli occhi di Vladimir potevi scorgere l’abisso, l’angoscia
di un uomo che è lucidamente consapevole di star morendo. In quegli occhi erano
riflesse tutte le paure, tutto l’ignoto, tutto l’oscuro e l’irrazionale, tutto
ciò che sentiamo di non possedere e di non comprendere: quegli occhi, quello
sguardo vitreo non potevano non farti precipitare nell’inquietudine e nel
tormento.
In fondo, ho pensato, siamo tutti
nelle condizioni di Vladimir, solo che non lo sappiamo. Da quando siamo nati,
tutti quanti stiamo lentamente morendo e il fatto che il nostro inconscio si rifiuti di credere alla possibilità della
propria morte non è altro che un bene. Come sostiene il Guicciardini, forse è
la natura stessa che ci ha predisposti a considerare la vita come se fossimo
immortali: se ci cristallizzassimo sul pensiero della morte, forse ci
succederebbe quello che è successo a Vladimir, cioè moriremmo veramente. Non ci
sarebbe più senso in niente, né in un sorriso né in una lacrima, soltanto “ignavia
e torpore”.
Anche se non possiamo eludere il
problema dell’esistenza, che è strettamente legato al problema della sua fine,
è altrettanto vero che le nostre domande esistenziali sono probabilmente
destinate a restare senza risposte definitive e rassicuranti…e noi destinati a
un’inquieta ignoranza. Thoreau, ad esempio, a chi chiedeva la sua opinione
sulla morte e sull’aldilà rispondeva semplicemente “Un mondo alla volta”.
Io credo che la maggior parte di
noi cerchi, con la sua vita, di dare un senso alla sua morte, magari provando a
vivere più a fondo ogni giorno in modo
da ‘cogliere l’attimo’ , tanto per usare uno stereotipo.
Eppure ci sono anche coloro,
pochi in verità, che con la loro morte cercano di dare un senso alla loro vita:
mi riferisco ai martiri di ogni ideale o fede o, per citare un caso recente, a
quella ragazza che ha deciso di non curarsi pur di far nascere il bimbo che
portava in grembo.
Questo mi porta a pensare che l’amore,
inteso come il donarsi, l’emanciparsi dal proprio ‘io’ e dal proprio egoismo è
forse l’unica cosa che può vincere e trascendere la morte dando allo stesso
tempo un senso alla vita. L’amore ci riporta a uno stato di purezza e a una
libertà originaria: in fondo arriviamo a mani vuote e a mani vuote ce ne
andiamo. Parafrasando il Bembo, nell’ultimo viaggio non ci accompagneranno né le
ricchezze né le glorie né gli onori ma
forse solo o soltanto i nostri amori.
Io ricordo che quando Vladimir è
morto, dal suo volto è scomparsa ogni traccia di morte accumulata in quel lungo
mese di angoscia. Sul suo volto è invece scesa una specie di pace luminosa,
come l’ombra di un sorriso. E io ancora una volta mi sono chiesta cosa sia la
morte e mi è balenato in testa un brano di chissà quale libro “Poco prima di
morire, Gertrude Stein chiese ‘Qual è la risposta?’ Non ci fu risposta. Lei rise
e disse ‘In tal caso, qual è la domanda?’ Poi morì”.
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Sara Bini Le Vie per l'Armonia