“I can’t get no satisfaction” (Jagger- Richards)
Un momento decisivo nel mio percorso di vita è stato quando ho davvero cominciato a realizzare e a praticare il pensiero “non è necessario apprendere attraverso la sofferenza”.
Certo, la sofferenza è da benedire quando porta approfondimento e crescita in saggezza e comprensione. D’altronde ho sempre pensato che la vita qui sul pianeta Terra, a questi lumi di luna, è già abbastanza dolorosa di per sé da rendere superfluo ogni supplizio aggiuntivo. Intendo dire, citando Leopardi, che spesso “Uscir di pena / è diletto fra noi” (La quiete dopo la tempesta). Anche la vita più riuscita e fortunata dovrà prima o poi fare i conti con esperienze-limite come la malattia o la morte. Questo mi è sempre sembrato più che sufficiente per rinunciare a ogni desiderio di lunga permanenza su questo piano e spingermi alla ricerca dell’Essenziale, di ciò che non può essere intimamente violato dalle vicende terrene - in breve, quella “pace che sorpassa ogni comprensione”.
Poi, essendo ancora abbastanza giovane per ritirarmi immediatamente in convento, ho avuto la brillante idea d’immergermi nelle dinamiche di questo pianeta per vedere cosa riuscivo a comprendere e se ne valesse davvero la pena. Così è partita la sperimentazione di quella che io chiamo ‘sofferenza aggiuntiva’, caratterizzata dal permanere, perseverare e attaccarsi a situazioni spiacevoli. Ovvio, non è che lo si fa per sport, anche se c’è chi ha fatto del ruolo di vittima un’identità ben consolidata.
Le motivazioni da me riscontrate alla base di questi bonus di sofferenza-extra sono state più o meno le seguenti: bisogno di essere come ‘gli altri’ (approvazione sociale), bisogno di sicurezza (sopravvivenza fisica), bisogno di affetto (sopravvivenza emotiva). Tali bisogni possono essere soddisfatti in modo equilibrato senza provocare pesi o ulteriore sofferenza, tuttavia, essendo io abbastanza esigente e allo stesso tempo inesperta, dopo vari e variopinti tentativi ho trovato più economico rivolgere tali questioni verso l’interno. Con ciò, si diventa pericolosamente liberi e allo stesso tempo ferocemente sensibili a ogni ‘stonatura’.
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