martedì 25 ottobre 2022

LA LINGUA DELLE COSE MUTE

“Le parole falliscono, ci sono momenti in cui anche loro falliscono.”(Samuel Beckett)

English version at the link:The language of silent things

A volte mi diverto a fare un gioco di accostamento, giustapposizione e dialogo su di un determinato tema, tra i miei scrittori e intellettuali preferiti. Mi diverto male, ne sono consapevole, ma evidentemente ognuno ha i piaceri - o le perversioni - che si merita. 

Qui di seguito ho messo confronto le parole di due autori austriaci tratte da due loro famose opere: il filosofo Ludwig Wittgenstein, con il finale del suo Tractatus Logicus-Philosophicus, e il poeta e drammaturgo Hugo von Hofmannsthal, con la toccante chiusura alla sua Lettera di Lord Chandos. 

I temi salienti sono l’ineffabile, l’epifania del reale e il linguaggio alle soglie del silenzio. Per me, che sono poetessa, tale linguaggio è senza dubbio quello poetico, tuttavia è meraviglioso vedere come filosofia e letteratura possono essere due strumenti diversi ma complementari per tentare di narrare, cantare o esplorare l’insondabile, inafferrabile Mistero della stessa Vita. 

Qui di seguito il link al video con la lettura del testo e poi il testo stesso.


Video su Youtube: Duetto tra Wittgenstein e Hofmannsthal 

Duetto:


Wittgenstein: Noi sentiamo che, anche se si dà risposta a tutte le domande scientifiche possibili, i problemi della nostra vita non risultano ancora neanche toccati. Certo non rimane allora proprio nessuna domanda; e proprio questa è la risposta.

Hofmannsthal : In tali momenti una qualsiasi creatura insignificante, un cane, un topo, un insetto, un melo intristito, una carrareccia che si snoda sulla collina, una pietra muscosa vengono a significare per me assai più dell’amante più bella e generosa nella più felice delle notti. Queste creature mute, talvolta inanimate, si levano verso di me con una tale pienezza, una tale presenza d’amore, che il mio occhio allietato non riesce a scorgere intorno nulla che sia morto. 

Wittgenstein: Vi è in effetti qualcosa di indicibile. Ciò si mostra, è il mistico.

H: Mi pare che tutto, tutto quello che c’è, tutto di cui mi sovviene, tutto quanto sfiorano i miei confusi pensieri, sia qualche cosa.  Anche la pesantezza, la strana ottusità del mio cervello mi appare come una qualche cosa. Sento dentro di me e attorno a me una solleticante infinita rispondenza, e tra gli elementi che si contrappongono nel gioco non c’è alcuno in cui non sarei in condizione di trasfondermi. Mi sembra allora che il mio corpo sia fatto di pure cifre, che mi rivelano il segreto di ogni cosa. O che potremmo entrare in un nuovo significante rapporto con tutto il creato, se cominciassimo a pensare col cuore. 

Wittgenstein: Le mie proposizioni chiarificano qualcosa perché colui che mi comprende le riconosce, alla fine, come insensate, quando egli attraverso esse – su di esse – le ha oltrepassate. (Egli deve per così dire gettar via la scala dopo averla usata per salire.)

Egli deve trascendere queste proposizioni, e allora vede il mondo correttamente.

Hofmannsthal: Ma quando questo strano incantamento mi abbandona, non sono capace di parlarne, e non saprei spiegare con parole sensate in cosa sia consistita questa armonia che compenetra me e il mondo intero e in qual modo mi si sia palesata, esattamente come non potrei precisare i moti delle mie viscere e i sussulti del mio sangue. […] perché la lingua in cui mi sarebbe dato non solo di scrivere, ma forse anche di pensare, non è il latino né l’inglese né l’italiano o lo spagnolo, ma una lingua di cui non una sola parola mi è nota, una lingua in cui mi parlano le cose mute, e in cui forse un giorno, nella tomba, mi troverò a rispondere a un giudice sconosciuto.

Wittgenstein:: su ciò di cui non si può parlare, occorre tacere.  

Per prenotare  un colloquio  di Counseling contattatemi attraverso il mio sito  Le Vie per l'Armonia.

THE LANGUAGE OF SILENT THINGS

“Words fail, there are times when even they fail.”(Samuel Beckett)

Versione italiana al linkLa lingua delle cose mute

Sometimes I have fun playing a game of juxtaposition, juxtaposition and dialogue on a particular topic, among my favourite writers and intellectuals. I am badly amused, I am aware, but evidently everyone has the pleasures - or perversions - they deserve. 

Here I have compared the words of two Austrian authors from two of their famous works: the philosopher Ludwig Wittgenstein with the ending of his Tractatus Logicus-Philosophicus and the poet and playwright Hugo von Hofmannsthal with the touching closing to his Letter from Lord Chandos. 

The salient themes are the ineffable, the epiphany of the real and language at the threshold of silence. For me, as a poet, such language is undoubtedly that of poetry, yet it is wonderful to see how philosophy and literature can be two different yet complementary tools for attempting to narrate, sing or explore the unfathomable, elusive Mystery of Life itself.

Duet:


Wittgenstein: We feel that even if all possible scientific questions be answered, the problems of life have still not been touched at all

Hofmannsthal: In these moments an insignificant creature-a dog, a rat, a beetle, a crippled apple tree, a lane winding over the hill, a moss-covered stone, mean more to me than the most beautiful, abandoned mistress of the happiest night. These mute and, on occasion, inanimate creatures rise toward me with such an abundance, such a presence of love, that my enchanted eye can find nothing in sight void of life. 

Wittgenstein: There is indeed the inexpressible . This shows itself; it is the Mystical.

Hofmannsthal: Everything that exists, everything I can remember, everything touched upon by my confused thoughts, has a meaning. Even my own heaviness, the general torpor of my brain, seems to acquire a meaning; I experience in and around me a blissful, never-ending interplay, and among the objects playing against one another there is not one into which I cannot flow. To me, then, it is as though my body consists of nought but ciphers which give me the key to everything; or as if we could enter into a new and hopeful relationship with the whole of existence if only we begin to think with the heart.

Wittgenstein: My propositions serve as elucidations in the following way: anyone who understands me eventually recognizes them as nonsensical, when he has used them—as steps—to climb beyond them. (He must, so to speak, throw away the ladder after he has climbed up it.)

   He must transcend these propositions, and then he will see the world aright.

Hofmannsthal: As soon, however, as this strange enchantment falls from me, I find myself confused; wherein this harmony transcending me and the entire world consisted, and how it made itself known to me, I could present in sensible words as little as I could say anything precise about the inner movements of my intestines or a congestion of my blood[…]because the language in which I might be able not only to write but to think is neither Latin nor English, neither Italian nor Spanish, but a language none of whose words is known to me, a language in which inanimate things speak to me and wherein I may one day have to justify myself before an unknown judge.

Wittgenstein: Whereof one cannot speak, thereof one must be silent.

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