“E non m’arrabbio neppure adesso che sono qui solo con la penna in mano. La migliore prova che io non ho avuto questa malattia risulta dal fatto che non ne sono mai guarito.”(Italo Svevo, ‘La Coscienza di Zeno’)
In un momento di emergenza o crisi collettiva, quando l’intera umanità viene chiamata a rivedere i suoi stili di vita e il suo sistema di valori e priorità, paradossalmente può trovarsi avvantaggiato colui o colei che già da tempo ha imparato a convivere con l’incertezza, la frustrazione e il senso di smarrimento. Questa tipologia di individui è abituata a raccogliersi in se stessa, centrarsi e recuperare quelle risorse mentali, emotive e pratiche necessarie a fronteggiare una situazione delicata.
Coloro che al contrario sono frammentati e tendono a evadere da loro stessi e dalle proprie contraddizioni interne, appena l’emergenza si affaccia, cercheranno rifugio all’esterno nell’‘uomo forte e di polso’ che salverà tutti quanti dalla catastrofe o semplicemente negli psicofarmaci e in altre forme di dipendenza. Ognuno, del resto, fa quel che può in base a ciò che è e al grado di consapevolezza, intelligenza e apertura del cuore che ha raggiunto.
Chi ha già una discreta dimestichezza con i ‘terremoti’ e le ‘pandemie’ interiori avrà l’occasione di mettere in atto ciò che ha appreso nei suoi anni di apprendistato esistenziale: le qualità di solidarietà umana, pensiero divergente e costruttivo, creatività, autenticità e coraggio.
Le crisi, purtroppo o per fortuna, strappano le maschere e rivelano le ipocrisie sia individuali che collettive. Quando il gioco si fa duro e l’ansia dilaga, o siamo schiavi o siamo, non dico liberi, ma almeno un po’ più lucidi e consapevoli. Lo schiavo, di fronte alla paura, s’incattivisce e chiede ancora più catene; l’uomo consapevole, invece, tira fuori il meglio di sé e ne fa dono a chi gli sta accanto. In nome della Vita, non teme di mettere a servizio la propria piccola vita, perché in fondo, come diceva la terribile Mafalda in una vignetta degli anni ’60, “se vivere significa ‘durare’, allora preferisco un single dei Beatles a un intero album di Orietta Berti!”.
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