domenica 8 settembre 2013

L’INCONTRO DI COUNSELING



Dopo dodici anni di terapia il mio psicanalista ha detto qualcosa che mi ha indotto alle lacrime. Mi ha detto:  "I can't speak Italian" (lib. riad. da Ronnie Snakes)


Una buona definizione di counseling potrebbe essere : metto la mia migliore Umanità al tuo servizio. Quindi, alla resa dei conti, il counseling è una relazione Umana nel senso più nobile del termine.  In quest’ arte, perché io così la reputo, il mezzo e lo scopo coincidono: il counselor pone a disposizione del cliente le sue qualità umane più elevate  affinché egli possa svilupparle in se stesso, per se stesso e nella sua vita. Ecco perché è richiesto al counselor un grosso lavoro su di sé: almeno durante l’incontro, si sforza di sospendere ogni giudizio, di farsi puro ascolto e comprendere lo stato d’animo del cliente – in una parola, mette in stand by per un po’ la sua personalità e il suo ego.


Il counselor inoltre non ha quadri teorici di riferimento con cui etichettare o catalogare il suo cliente: l’altro viene accolto nella sua totalità, complessità e pienezza. Una relazione caratterizzata da accoglienza, autenticità ed empatia facilita spontaneamente un cambiamento positivo nelle persone coinvolte. Se il counselor, come si suppone, si trova in uno stato di coerenza maggiore del cliente, facilita il ripristino dell’armonia in quest’ultimo anche senza dover fare o dire chissà quali cose. E’ un fenomeno sottile, energetico, come se un movimento evolutivo s’irradiasse dalla persona che in quel momento è più centrata a quella che in quel momento è più sconnessa.


Per cui può succedere che il cliente esca dallo studio del counselor alleggerito, rivitalizzato e più fiducioso senza sapersi spiegare il perché. Magari pensa anche “Eppure non mi ha mica detto niente di speciale”. Questa è l’esperienza che io stessa ho avuto nel mio percorso e che mi ha spinto a riflettere su cosa succede all’interno di un incontro di counseling. Una delle risposte che ho trovato è la seguente: il counselor va a rispecchiare la parte più saggia e lucida del cliente, quel centro di forza interiore che la persona, in un momento di crisi, non riesce più a contattare. Nel migliore dei casi poi, riconnette la persona con queste sue risorse interne emancipandola anche dalla stessa relazione di counseling. 




Per il counselor si tratta dunque di incarnare quelle qualità e quelle risorse che vorrebbe vedere sviluppate nel cliente. Va da sé che un counselor sfiduciato o super-ansioso difficilmente evocherà  fiducia e serenità nel cliente. Questo non significa che il counselor deve essere perfetto, poiché la perfezione è un concetto relativo e onestamente, su questo pianeta, anche poco credibile. Significa piuttosto che conosce , sperimenta e accoglie i suoi limiti umani e allo stesso tempo lavora per andare oltre , trasformandoli pian piano in qualità meno dolorose e meno dissonanti.

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Sara Bini Le Vie per l'Armonia

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