“Signore, dammi la castità e la continenza, ma non subito.” (Sant’Agostino)
English version at the link Perfect
Ci è stato detto che la materia, il corpo e il desiderio sono ‘male’. Siamo cresciuti nella pia illusione che, reprimendo bisogni e desideri, ci avrebbero considerati ‘buoni’ e quindi degni di amore.
La materia può eventualmente rappresentare il male in senso ontologico, se la vediamo come il massimo grado di allontanamento dalla libertà dello spirito, di cui tuttavia è il polo necessario alla manifestazione. Certo, più la materia è densa, più è vincolata, vincolante e capace di opporre una tenace resistenza all’impulso creativo dell’Idea.
Il corpo e le sue pulsioni sono anch’esse necessitate e necessitanti, tuttavia possono essere trasfigurati e santificati. Un esempio per tutti: fondere l’impulso sessuale animale all’amore e alla dedizione per un unico partner già implica un processo alchemico che redime la bestia e seduce l’angelo.
Infine, il desiderio è il motore imprescindibile con cui la vita viene in essere ed esplora se stessa. Si può facilmente osservare come una persona con scarso desiderio cada nell’apatia e nell’inerzia. Questo potentissima energia può essere in qualche misura domata, se non perfino sollevata dal livello puramente quantitativo a quello qualitativo. Diventa così un’istanza sublime: lo slancio verso la vera conoscenza e verso un amore meno contaminato che ci rende nobili servitori della Vita.
I più grandi maestri zen affermano che “ogni giorno è un giorno fortunato”: se sviluppiamo attenzione e consapevolezza, ci rendiamo conto che ogni attimo è diverso dal precedente ed è potenzialmente carico di doni. Anche un’emozione ‘negativa’ è un dono: si tratta comunque di energia, di un movimento capace di spingerci a indagare, a ri-cercare noi stessi.
Non si diventa completi finché non si integrano tutti i colori dell’esperienza in questa dimensione; non si diventa autenticamente divini se prima non si è stati pienamente umani. Chi evita di agire o di ‘sporcarsi le mani’ perché mira solo alla perfezione resta spesso impigliato in un idolo mentale, algido, statico, talvolta mortifero. Al contrario, l’intrinseca imperfezione della vita è continuo tentativo, calore e moto che creano una sempre nuova e inedita possibilità di bellezza.
Ecco perché nel film ‘L’ultimo samurai’, Katsumoto, dopo aver trascorso la vita a cercare ‘il fiore perfetto’, in punto di morte riconosce che “tutti sono perfetti”. In un estremo saluto, la mente separata e separativa si discioglie, ammirando come tutti gli esseri siano le note e i timbri insostituibili di quell’unica, irripetibile sinfonia che è la vita, adesso.