Dio è morto, Marx è morto, e anch'io mi sento poco bene.(Woody Allen)
Quando tento di pensare a Dio o di parlarne, mi viene
sempre in mente la querelle Wittgenstein-Adorno riguardo il campo di
speculazione della filosofia. Mi riferisco alla filosofia nella sua essenza più
sacra, attestata dal suo etimo “Amore per la Sapienza”. In questa parola non
troviamo infatti solo la componente mentale-cognitiva ma anche quella
emotivo-sentimentale; ogni vero amore stabilisce una relazione con l’oggetto
amato e questa relazione che modifica e trasforma entrambi.
Tornando ai nostri due amici, Wittgenstein chiude il suo
Tractatus Logicus-Philosphicus con un enunciato secco e lapidario, di sapore
decisamente mistico : “Di ciò di cui non si può parlare, occorre tacere”. Al
che si scatena Adorno, con una sete di ricerca degna dell’ Ulisse dantesco e
ribatte: “E invece è proprio di ciò di cui non si può parlare, che occorre
parlare”.
Entrambi i ragazzi hanno ragione, e comunque la ragione o
il torto non sono il punto della questione. Da un lato di Dio non si può dire
nulla: è Anelito Estremo, la più Ineffabile Ulteriorità, molto aldilà delle
nostre categorie di pensiero. Dall’altro Dio è anche ‘intimior intimo meo’,
come direbbe Sant’Agostino, ‘più intimo del mio intimo’, intessuto nella mia carne
e nel mio sangue più della mia stessa carne e sangue.
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