Odio e amo.
Forse chiederai come sia possibile;
non so, ma è proprio così e mi tormento.
non so, ma è proprio così e mi tormento.
Odi et amo.
Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior. (Catullo)
Nescio, sed fieri sentio et excrucior. (Catullo)
Cos’è
che ci spinge ad attaccare e a far soffrire l’oggetto amato? Come mai c’è tanto
odio nel nostro ‘amore’? Mi trovo spesso a riflettere sull'ambivalenza insita nei sentimenti umani. La noto agire in me e nelle persone che mi circondano, per
lo più in maniera inconsapevole, mascherata o addirittura
giustificata. Ed
è anche interessante notare come l’odio e la rabbia ci legano quanto l’amore;
forse perché in fondo ne sono la massima distorsione, il grido estremo, la
protesta più disperata.
Il pendolo dell' ambivalenza diventa particolarmente evidente nei momenti di perdita o di
separazione. In breve tempo, ciò che prima si pensava di amare con tutti noi
stessi si colora e si carica di tutta la nostra rabbia. E’ un processo che
avviene anche nel caso dei lutti; razionalmente
sappiamo che il defunto non ha nessuna colpa, ma emotivamente ce lo viviamo
come un abbandono.
Dopo
una perdita, raramente le persone lavorano per re-integrarsi: cioè tornare intere
elaborando e interiorizzando l’essenza di quell’incontro o di quell’esperienza.
Si tende piuttosto a soffocare o a sfuggire ai sentimenti negativi riempiendo il
vuoto lasciato da qualcuno con qualcun altro.
Tuttavia
ciò che non è stato risolto in una relazione tende ad essere riproposto in
quelle successive. Per assurdo, si potrebbe incontrare anche Cristo stesso e ci
sembrerebbe comunque o troppo geloso, o vigliacco, o inaffidabile o crudele. Se poi per miracolo riuscissimo a percepirne la diversità rispetto ai rapporti precedenti, fuggiremmo comunque dalla relazione. Infatti incontrare l’amore
vero, l’accettazione e la libertà stravolgerebbe troppo il nostro copione, non ci siamo abituati. Non siamo pronti a qualcosa
di diverso finché noi, sostanzialmente, siamo gli stessi.
Non
sto parlando di percorsi facili né tantomeno veloci o immediati. Come dice
Rilke, ci vuole un’infinita pazienza “verso tutto l’insoluto nel nostro cuore”
e la forza suprema di “amare le domande stesse” senza pretendere subito le
risposte; senza pretendere cioè di fare immediatamente ordine e tener ogni cosa sotto controllo. Si tratta piuttosto di ‘vivere tutto’, e con-vivere con tutto: con
le domande, con le risposte , con quella necessaria ambiguità che fa parte
della nostra natura.
....Anche
perché alla fine, nessuno può rimandare troppo a lungo l’incontro con sé
stesso.
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Sara Bini Le Vie per l'Armonia
Sara Bini Le Vie per l'Armonia
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