Si
dice spesso che i giovani di oggi non hanno valori, non hanno direzione e non
hanno ideali. Attraverso il giudizio e la definizione c’illudiamo forse di allontanare
qualcosa di pericolosamente vicino a noi. Da qualche parte cominciamo a sentire
che il disagio dei giovani altro non è se non il nostro, la punta dell’iceberg
di una società incapace di creare, di scommettere, di sognare. Non riuscendo
più a vedere né tanto meno a mobilitare le nostre stesse potenzialità, non
sappiamo scorgere o sostenere le risorse
delle giovani generazioni.
Questo
tuttavia non significa che non esistano. Per fortuna la vita è più bella e più
ricca della percezione limitata che spesso ne abbiamo e continua a fiorire,
nonostante le nostre paure, le nostre remore, i nostri egoismi. Fiorisce nelle
persone ritratte in questo romanzo, dove all’orrore fa da contrappeso il
coraggio, al sentimentalismo gl’ideali, alle parole vuote l’azione concreta.
Fiorisce in questi anziani che hanno ancora una saggezza da offrire, in questi
adulti ricchi di forza e di cuore, in questi giovani volontari che fondano nuove
istituzioni allorché le vecchie s’incancreniscono e agonizzano.
Non
starò a presentare o a descrivere i contenuti del romanzo di Fabrizio:
leggetelo e ognuno valuti secondo il suo cuore e la sua coscienza. Farei piuttosto
un breve accenno alla forma, nella misura in cui anch’essa si traduce in contenuto
ed evidenzia la qualità di lettura del mondo dell’autore. Fabrizio ci racconta
infatti la ‘gravità con leggerezza’, come direbbe Calvino, laddove ‘leggerezza’
non sta per superficialità ma per la capacità di parlare del tragico senza ‘tragicizzarlo’ ulteriormente. Lo stile
di Fabrizio, snello e pieno di vitalità, sgorga autentico da una mano che non è stata spettatrice impotente bensì parte
attiva della vicenda narrata.
Vorrei
porre a conclusione di queste riflessioni un passaggio del romanzo che mi ha particolarmente
commossa, suonando come un incrollabile inno alla vita e a un’umanità nuova: "Pensai che Dio era in quel bambino: in
quel corpicino 'iperattivo' che non smetteva mai di muoversi, in quelle manine
che 'aggeggiavano' curiose dappertutto. Nei suoi occhi nocciola, la certezza
che gli Uomini ce l'avrebbero fatta anche questa volta, che la vita sarebbe
risorta dalle ceneri della distruzione più colorata e luminosa che mai”.
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